1… La crisi libica (a due passi da casa nostra) e gli avvenimenti drammatici nella regione mediorientale e mediterranea orientale ripropongono la necessità di una riflessione sulla politica estera italiana per come è venuta evolvendo (?) durante questa lunga e confusa transizione in cui sono cambiati (in peggio) l’approccio, la concezione, gli obiettivi delle relazioni internazionali dell’Italia, dell’Europa verso il mondo arabo e altre regioni del Pianeta. Con la cd. “seconda” Repubblica, si è passati dal dialogo alla sfiducia, al conflitto; con la “terza” l’Italia é quasi allo sbando, non ha più una politica estera degna di questo nome!
In realtà, la Repubblica è sempre una ed é quella disegnata dalla nostra, bellissima Costituzione democratica e antifascista. Le altre, supposte, sono degenerazioni della prima che hanno alterato l’immagine di un’Italia solidale e popolare che, nel rispetto delle alleanze internazionali, riusciva a esprimere una politica estera, ampiamente condivisa in Parlamento, aperta al dialogo e alla cooperazione economica, in primo luogo con i Paesi dello scacchiere arabo e mediterraneo.
Una politica di pace che generava nuove occasioni d’incontro, favoriva la penetrazione in nuovi mercati e commesse importanti per le imprese italiane. Le buone relazioni politiche e culturali italo – arabe erano la chiave di volta per accrescere il volume degli scambi economici e commerciali.
Insomma, il dialogo pagava e assicurava all’Italia un ruolo primario nell’area arabo-mediterranea, anche in campo economico.
Un solo esempio. Oggi, dalla Libia arrivano in Italia i barconi dei migranti disperati, negli anni ’70-’80 dall’Italia emigravano verso la Libia circa 20.000 fra operai e tecnici al seguito delle grandi e medie imprese italiane.
Perciò appare necessario un cambio radicale della nostra politica estera che specie verso questo scacchiere si è progressivamente militarizzata con risultati doppiamente in perdita. Infatti, oltre ai nuovi rischi, in termini di sicurezza, cui si espone il Paese, si registrano preoccupanti incrementi del deficit commerciale e delle spese militari, a discapito degli investimenti e delle politiche di protezione sociale.
2… Dal dialogo nascono la pace e la prosperità, dalla guerra morte, miseria e nuove migrazioni
Sotto questo profilo, il caso italiano è esemplare. Basterebbe fare qualche conto e alcuni confronti fra le bilance commerciali attuali e quelle di allora per capire le cause del nostro svantaggio e scoprire la differenza che corre fra il dialogo e la chiusura razzistica o, se si preferisce, fra la cooperazione pacifica e il folle scontro di civiltà.
Proprio per tenere la barra dritta verso la cooperazione pacifica, la tanto biasimata “prima Repubblica” produsse una politica estera equilibrata, lungimirante e ampiamente condivisa di cui va dato merito ai tre grandi partiti popolari (Dc, Pci e Psi) e ai loro più prestigiosi dirigenti: Aldo Moro, Giulio Andreotti, Enrico Berlinguer, Giancarlo Pajetta, Bettino Craxi, Riccardo Lombardi, ecc Ovviamente, con ciò non si vuol mitizzare nessuna delle personalità sopra citate o sostenere che quello fu un periodo aureo per l’Italia. I problemi c’erano ed anche gravi: dall’attacco ai diritti sociali dei lavoratori alla sicurezza e all’ordine pubblici, dal clientelismo alla corruzione, ecc.
In quegli anni cruciali l’Italia riuscì a ritagliarsi un ruolo relativamente autonomo in politica estera. Un ruolo proporzionato alle sue potenzialità ossia senza grandi pretese, ma orientato al dialogo fra gli Stati, al sostegno del diritto alla sovranità dei popoli ancora irredenti. In primo luogo, del popolo martire di Palestina che sostenemmo senza mai deflettere dalla difesa del diritto all’esistenza d’Israele entro i confini riconosciuti dalle Nazioni Unite.
La questione è ancora insoluta per una serie di ragioni, quella che più influisce è la “cattiva abitudine” dei governanti israeliani di fuoriuscire dagli ambiti territoriali loro attribuiti dall’Onu e di non volere rientrarvi. Diciamo!
3… In tale contesto, rilevante fu il ruolo del Pci che, dall’opposizione, affrontò tali tematiche con senso di responsabilità nazionale ed europeista, con grandi mobilitazioni popolari e con chiarezza di obiettivi mirati al cambiamento della prospettiva generale del Paese.
Seguendo la linea della giustizia e della legalità internazionali, contribuimmo a rafforzare la pace nello scacchiere arabo-mediterraneo e la sovranità nazionale e, cosa di non poco conto, a tutelare il nostro Paese da rischi micidiali, creando, al contempo, importanti occasioni di scambi reciprocamente vantaggiosi.
Insomma, si delineò un nuovo scenario di convivenza pacifica, di rispetto e di mutua comprensione, di fervore collaborativo, solidaristico all’interno del quale si era perfino individuata una prospettiva seria di proiezione internazionale, di crescita per il nostro Mezzogiorno, oggi ricacciato ai margini dello sviluppo, assillato dalla criminalità e ridotto a mero deposito di risorse energetiche al servizio del centro-nord ipersviluppato.
Purtroppo quel processo verrà, tragicamente, interrotto, provocando un’accelerazione del nostro declino economico e morale.
Sappiamo che, spesso, i confronti non sono graditi, ma non si può negare che, ieri, l’Italia, col concorso di tutte le forze di progresso, dei lavoratori e degli imprenditori, raggiunse primati davvero eccezionali, fino al punto di figurare fra le prime potenze industriali del pianeta. Mentre oggi è in recessione da lungo tempo.
L’incompetenza, il servilismo straccione, il populismo di bottega, per altro molto costoso, stanno bruciando gran parte di quei risultati e avviato il Paese su una china molto preoccupante sul terreno politico e su quello della coesione sociale.
Perché questo cambiamento di rotta, di ruolo?
La risposta non è facile, anche se si possono intravedere le cause e gli interessi (anche esterni) che l’hanno determinato. Servirebbe una seria riflessione, un dibattito pubblico (non televisivo, per favore!) affinché, anche partendo da quella fase, si possa re-impostare la politica estera italiana ed europea su canoni più rispondenti ai nostri e non agli altrui bisogni. Poiché, in fondo, questo è il vero problema!
(10 gennaio 2020)
* già membro delle commissioni Affari esteri e Difesa della Camera dei Deputati.