“Già in passato avevo sollevato il problema di soggetti che autoproclamati o indicati da associazioni quali “familiari di vittime innocenti di mafia” – senza avere alcun riconoscimento ministeriale e nonostante gli atti giudiziari attribuissero a ben altre ragioni la perdita del congiunto – venivano, nella qualità, invitati a partecipare a convegni e manifestazioni in favore della legalità, finendo con il generare confusione, a volte anche lesiva per l’intera categoria.”
A tornare sulla questione dei facili riconoscimenti che pregiudicano l’immagine e l’operato di chi è impegnato nel sociale in favore della legalità, è Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale dei familiari delle vittime innocenti di mafia dell’associazione “I cittadini contro le mafie e la corruzione”.
“La recente vicenda dell’assistente parlamentare Antonello Nicosia, accusato di essere stato l’insospettabile messaggero dei boss detenuti a regime di 41bis – dichiara Ciminnisi – conferma la necessità di adottare maggiori cautele prima di assegnare ruoli, invitare e presentare qualcuno come soggetto impegnato su temi come la legalità, la lotta alla mafia e la difesa dei diritti inalienabili di ogni essere umano.
Il mondo dell’antimafia, di recente ha dovuto fare i conti con una crisi che rischia di cancellare decenni di lotta contro il fenomeno mafioso, pagata con il sangue di tante vittime innocenti e di servitori dello Stato.
Troppi miti, troppi simboli di questa lotta, nel tempo si sono rivelati soltanto copertura di un malaffare, di una mafia, che non era più – o non era soltanto – quella delle coppole e delle lupare.
Nicosia era impegnato nel sociale, teneva seminari universitari, era assistente parlamentare e direttore dell’Osservatorio Internazionale Diritti Umani. Tutti ruoli che hanno fatto di lui “un insospettabile”, nonostante i gravi precedenti giudiziari che lo avevano visto riportare una condanna a 10 anni e sei mesi per traffico di droga.
In attesa che la giustizia faccia il suo corso, a prescindere dall’esito che avrà l’attività giudiziaria, non posso fare a meno di denunciare la leggerezza con la quale si assegnano ruoli e titoli. Parole come giustizia e legalità, pronunciate da taluni soggetti, non soltanto appaiono vuote, ma risultano offensive e dannose nei riguardi delle tante persone che credono veramente in questi principi e che talvolta portano addosso cicatrici di ferite che non si sono mai rimarginate.
È necessario dunque – conclude Ciminnisi -che ci sia una maggiore responsabilità da parte di quanti fino ad oggi hanno rilasciato facili patenti di onestà che traggono in inganno chiunque su questo faccia affidamento, a cominciare dai componenti dell’assemblea legislativa dello Stato che prima di avvalersi di una collaborazione dovrebbero quantomeno assumere quel minimo di informazioni che impediscano in futuro ulteriori casi come quello che ha visto coinvolto l’assistente parlamentare dell’onorevole Pina Occhionero.