È sufficiente uno sguardo ai post e ai commenti di carattere politico postati sui social, per rendersi conto di come il confronto tra persone che esprimono opinioni diverse finisca con lo scadere in forme di intolleranza che degenerano spesso in insulti personali e minacce più o meno velate.
L’opinione non è più politica e la politica si è trasformata in un “Reality Show” nel quale lo spettatore assume una parte attiva adottando una difesa ad oltranza la cui violenza verbale non è accettabile.
Se da un lato la nostra Costituzione garantisce a tutti i suoi cittadini pari diritti, libertà di espressione e diritto al dissenso, dall’altro lato l’uso dei social da parte di persone alle quali mancano le più elementari basi di diritto e dell’educazione, ha fatto sì che le piazze virtuali si siano trasformate in arene nelle quali è possibile dar sfogo ai più bassi istinti e a quella violenza primordiale insita nell’essere umano e che la politica dell’odio ha usato per creare paure e dividere il paese.
Non è necessario essere Sherlock Holmes, per rendersi conto che l’odio in quanto tale e gli “ismi” e fobie ai quali è collegato (sessismo, razzismo ecc.) tendono ad escludere sempre più persone dal vivere come cittadini a pieno titolo.
L’autocompiacimento degli italiani che sui social agiscono come propagandisti di questa folle strategia politica, è a dir poco sorprendente.
Nella migliore delle ipotesi, tolti dunque i casi di maleducazione e di minacce, l’accusa verso chi non condivide il loro pensiero è quella che questi “odiano l’Italia”.
La verità è un’altra, quella che gli italiani odiano la politica. Infatti, finiscono con il viverla come partecipazione e sostegno alla squadra del cuore, come tutte le tifoserie da stadio. E come tutte le tifoserie, il passo dall’insulto e dalla violenza verbale a quella fisica, purtroppo è breve.
Il nostro Paese è ad un bivio. Siamo passati dalle richieste di risorse e misure per l’occupazione, per l’assistenza sanitaria, per le pari opportunità, per l’istruzione e la ricerca, a quella di una maggiore “sicurezza” e di “misure severe”, scegliendo come bersaglio una qualsiasi minoranza che nell’immaginario collettivo (ben alimentato dall’emozione manipolativa di coloro che ne approfittano per convenienza politica) finiscono con il rappresentare il nemico contro cui combattere, dimenticando, forse perché distratti, che alcuni dei maggiori problemi dell’Italia, come mafie, corruzione ed evasione fiscale, rappresentano in realtà le voci negative nel bilancio di questa nazione.
L’Italia, a differenza di molti altri Stati, ha un sistema multipartitico che avrebbe dovuto garantire la possibilità di scegliere democraticamente all’interno di una più ampia rappresentanza chi mandare a governare la nazione. Di fatto, le leggi elettorali hanno costretto i partiti usciti vincitori dalle urne, a dover cercare improponibili alleanze per la nascita dell’esecutivo.
È come se ci trovassimo dinanzi al dover scegliere tra due partiti a cui affidare il potere. Puoi scegliere ciò che ti piace, purché sia bianco o nero, e anche se spesso li giudichiamo ugualmente corrotti, pazienza, non c’è altra offerta per poter votare nuovi partiti e mandare definitivamente a casa i vecchi operatori storici.
Siamo passati dal confronto tra diverse ideologie, a bizzarre riunioni, anche virtuali, nel corso delle quali ci rallegriamo e applaudiamo chi, in maniera più rozza e più volgare, denigra la controparte e i milioni di elettori che l’hanno votata, senza renderci neppure conto di come se soltanto ci fosse un minimo di sincerità e onestà nelle parole del sommo sacerdote a cui abbiamo venduto il nostro intelletto, le preoccupazioni che ci manifesta avrebbero trovato soluzione in una politica mirata.
E non mi riferisco certamente alla questione dei migranti, che sembra essere l’unico terreno di confronto tra le due fazioni che si contendono il voto degli italiani.
Da una parte, una “pseudo-sinistra” che non ha saputo – e neppure voluto – governare il fenomeno, lasciando libero spazio a traffichini di ogni genere e sorta, che sulla pelle di questi disgraziati si sono arricchiti.
Dall’altra, la “pseudo-destra” che sta usando uno pseudo patriottismo come arma per trasformare l’opinione pubblica in acritici facinorosi ai quali demandare il compito di agire nelle piazze.
Logiche e strumentalizzazioni che creano un clima d’odio che ci spinge gli uni contro gli altri, usando una violenza verbale che ha già dato i suoi primi frutti, come nel caso dell’’insegnante Lavinia Flavia Cassaro, che durante un corteo antifascista a Torino aveva urlato alle forze dell’ordine “Dovete morire, mi fate schifo”, e quello più recente del sottufficiale dei carabinieri Emilio Iacopi, che da capogruppo leghista al consiglio comunale di Sarzana ha pubblicato sulla sua pagina Facebook un post (poi rimosso) con la foto del Presidente della Repubblica, definendolo “Traditore della patria”.
Come per l’insegnante, la cui attitudine all’insegnamento è assai discutibile – tanto da essere stata licenziata a seguito dell’episodio che la vide protagonista – anche per il sottufficiale dei carabinieri c’è molto da ridire, tanto più se si pensa che un soggetto del genere, con il ruolo che ha, pare aver dimenticato che serve lo Stato e non un partito.
Siamo certi che “chi odia l’Italia” sia soltanto chi ha sfruttato la vicenda dell’immigrazione per fini politico-umanitari o, ancor peggio, per illeciti arricchimenti?
A giudicare da quanto accade negli stati Uniti, un altro “patriota” di nome Trump, ha fondato la sua politica sull’odio indiscriminato, tanto da accusare in maniera generica tutti gli immigrati musulmani indicandoli come potenziali terroristi da arrestare in attesa di capire cosa stia succedendo.
Purtroppo, la scarsa capacità d’analisi e di critica degli elettori del più ridicolo presidente che la storia americana ricordi, fa sì che non ci si accorga che due terzi degli episodi di terrorismo negli Stati Uniti sono stati commessi da nazionalisti bianchi. Un dato che dovrebbe allarmare Trump, il quale invece ha tagliato i finanziamenti per i programmi volti a monitorare i giovani neonazisti e deradicalizzarli (come si fa con gli estremisti islamici) per prevenire nuovi attentati. La politica dell’odio di Trump, ha finito con il coinvolgere le forze dell’ordine che spesso sono riluttanti – come confermato anche da ex agenti dell’antiterrorismo dell’FBI – ad indagare e agire sul crescente movimento suprematista bianco americano.
Del resto, la difficoltà degli agenti ad agire contro coloro i quali il presidente percepisce come la sua base elettorale, è oggettiva.
Nel caso del presidente americano, la criminale strategia politica, oltre che a far crescere il consenso da parte dell’elettorato, gli garantisce il supporto della National Rifle Association, che rappresenta la potente lobby dell’industria armiera, tant’è che qualsiasi proposta di restrizione sul possesso di talune armi, viene sempre bloccata dal partito del presidente.
Gli americani morti sotto i colpi sparati da squilibrati e suprematisti, sono i “danni collaterali” di quest’ideologia criminale.
Se chi ama gli Stati Uniti, sono coloro i quali, nonostante il Comitato di intelligence del Senato abbia accertato che la Russia ha violato il sistema elettorale di tutti e 50 gli Stati nel 2016, non hanno fatto nulla per garantire la democrazia del Paese; se sono coloro i quali chiudono gli occhi dinanzi le stragi ad opera di folli e suprematisti, dobbiamo chiederci cosa sia il simpatizzare per i terroristi.
Qual è la posta in gioco? La democrazia del nostro Paese e la nostra stessa sicurezza, quella sulla quale oggi si gioca accrescendo le paure e che invece domani sarà seriamente minacciata da forme di terrorismo che saranno tutt’altro che provenienti da altri paesi.
Un terrorismo domestico di natura politica o ad opera di estremisti – come negli Stati Uniti – convinti di far parte di una razza superiore che difende il proprio paese. Ci ricorda qualcosa?
Gian J. Morici