Diciassette giorni, tanto è durato il braccio di ferro tra Carola Rackete e il governo italiano.
Ieri notte, con una mossa a sorpresa, la comandante della Sea Watch è entrata in porto a Lampedusa, nonostante una motovedetta della Guardia di Finanza avesse provato a bloccarla andando avanti e indietro lungo la banchina.
La Rackete ha comunque deciso di continuare la manovra di accostamento. Un’operazione che – secondo l’accusa – avrebbe messo a rischio i militari presenti a bordo.
Dopo l’approdo, sono stati gli stessi militari della Guardia di Finanza a trarre in arresto la comandante della nave, con l’accusa di “resistenza o violenza contro nave da guerra”, mentre la Procura di Agrigento ha anche contestato il tentato naufragio della motovedetta della Guardia di Finanza.
All’alba, i quaranta migranti che si trovavano a bordo della nave sono stati fatti sbarcare e portati nel Centro di contrada Imbriacola, da dove certamente saranno inviati verso le cinque nazioni europee che si erano già pronunciate offrendosi di ospitarli.
La comandante della Sea Watch, che da 36 ore aveva dichiarato lo stato di necessità, attendendo in vano una risposta da parte del governo, andrà agli arresti domiciliari. La Rackete rischia una condanna fino a dieci anni.
Secondo i legali della Ong, Leonardo Marino e Alessandro Gamberini, quella di attraccare a tutti i costi è stata una decisione disperata presa a seguito di una situazione che era diventata disperata.
Fermo restando che nessuna ragione può giustificare la messa in pericolo della vita di chi lavora indossando una divisa, c’è da chiedersi che senso abbia avuto tutto questo teatrino – da parte di tutte le forze politiche, sia favorevoli allo sbarco che contrarie – per una questione che era già risolta con l’offerta di altre nazioni che avevano accettato di ospitare i migranti.
Senza considerare inoltre, che mentre in tutto il 2019 le Ong hanno portato sul suolo italiano 179 migranti, gli sbarchi autonomi proseguono incessantemente e i rientri dei cosidetti “dublinanti”, solo durante l’ultimo periodo e soltanto dalla Germania, sono stati circa 1.500, ai quali presto se ne andranno ad aggiungere altre migliaia.
Non possono le ragioni politiche esasperare gli animi con conseguenze che potevano essere gravissime per chi serve lo Stato indossando una divisa, facendo poi il gioco dello scarica-barile su chi avrebbe una responsabilità penale e chi una morale o politica.
Gian J. Morici