Non è la pubblicità che induce al gioco, almeno in gran parte dei casi. E il distanziometro non scoraggia i giocatori problematici. Le due “rivelazioni”, contenute nella ricerca sul gioco d’azzardo realizzata dall’Istituto Superiore di Sanità e presentata oggi a Roma, mettono in discussione sia le recenti decisioni del Governo sulla materia, sia le politiche antiludopatia di quasi tutte le regioni italiane. Luigi Di Maio continua ad accreditarsi come grande successo personale e di Governo l’abolizione totale della pubblicità del gioco, introdotta con il decreto Dignità, ma secondo lo studio dell’ISS solo il 19,3% dei giocatori che hanno visto spot sui giochi ha scelto di giocare a causa del loro richiamo. In questa fascia, dice la ricerca, spiccano i giocatori problematici, cioè quelli che con tutta probabilità giocherebbero comunque, anche in assenza di pubblicità. Gli stessi che, sempre secondo l’indagine, sono più propensi (la percentuale è doppia) rispetto ai giocatori occasionali a rivolgersi ad operatori illegali. Insomma, lo stop alla pubblicità dei giochi va a deprimere alcuni mercati, in primo luogo quello degli organi di informazione e delle manifestazioni sportive, e non argina né il gioco problematico, né la deriva illegale.
Quanto al regime delle distanze minime, al quale ricorrono le politiche regionali per combattere il gioco patologico e “proteggere” i luoghi sensibili (scuole, chiese, parchi, ecc.), la ricerca dell’ISS rileva che il giocatore problematico predilige giocare lontano da casa e dal lavoro. Ne deriva che, come riporta Agipronews, capillarità e prossimità non sono elementi che favoriscono la ludopatia. Una conclusione che fa il paio con una recente relazione commissionata dal Consiglio di Stato, secondo cui il distanziometro penalizzerebbe soltanto la clientela sana.
Una politica basata sul buon senso consiglierebbe forse soluzioni meno dirigiste e più concertate. Invece, il Governo attuale, più ancora dei precedenti, rifiuta ogni contatto con il settore, messo al bando come se invece di concessionari di Stato si trattasse di un’accolita di banditi.
GIOCO E MINORI: DALL’ALCOL AL FUMO ALL’AZZARDO, DIETRO AL VIZIO C’È L’INCURIA O IL ‘DOLO’ DI UN ADULTO
ROMA – Alcol, gioco, fumo. I ragazzi dovrebbero essere protetti dal rischio di vizi ed eccessi grazie al reticolato di norme, leggi e divieti che tutelano i minori. Ma le cose vanno proprio così? No, anche per una responsabilità diretta degli adulti, non solo i familiari, ma anche esercenti ‘fiancheggiatori’ e rivenditori che possono e devono fare da argine.
La piaga tra le più preoccupanti del nuovo millennio riguarda l’alcool, causa di danni clinici devastanti: l’Istat registra un 21,4% – compresi anche 11enni – che consuma abitualmente alcolici, con 800mila soggetti tra i 16 e i 17 anni che addirittura ne abusano, mentre nella fascia più ampia tra gli 11 e i 17 anni, il 20,4% del totale ha un comportamento “non moderato nel consumo” per qualcosa di assolutamente vietato ai minori. Addirittura più pervasiva la “trasgressione” del tabacco: secondo quanto stima la Doxa i fumatori dai 15 anni in su – comunque in calo negli ultimi anni – sono 11,7 milioni, cioè il 22,3% della popolazione, fra questi 12,2% ha iniziato comunque prima dei 15 anni, più della metà, il 53,7% cioè 6,3 milioni, ha comunque acceso la prima sigaretta prima della maggiore età.
A questi dati, riferisce Agipronews, si aggiunge la ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha fotografato la diffusione del gioco d’azzardo in Italia, con quasi 700mila studenti minorenni che hanno giocato almeno una volta nell’ultimo anno, quasi 70mila di questi già con problemi di gioco.
E i responsabili chi sono? Dietro ogni adolescente che compra sigarette, alcolici o gioca d’azzardo insieme ai compagni di classe, c’è molto spesso un adulto che decide di aggirare i divieti. C’è colui che si presta all’acquisto del ‘prodotto’ e chi semplicemente glielo vende direttamente chiudendo un occhio per incuria o, peggio, lucro. E’ il classico caso in cui servirebbe capire “chi controlla i controllori”, forse neanche una tessera – che certifichi la maggiore età e magari controlli anche i limiti di spesa, arginando pericolose derive non solo economiche – risolverà definitivamente questi problemi, almeno non fino a quando qualcuno sarà disposto a infrangere i divieti per i minori in conto terzi.