L’avvicinarsi della scadenza della legislatura e delle elezioni che, bene o male, cioè male si dovranno pur tenere ha scatenato la frenesia dei mendicanti di una “collocazione”, di un ruolo pretenziosamente politico. Pretesa in sé arrogante e balorda, perché si tratta, per lo più di personaggi che sono vissuti e vivono dello sprezzo della politica, che rovesciano sulla “politica”, che sulle loro bocche è parola di incerto e sempre deteriore significato, ogni sorta di accuse.
Sono quelli che non vedo come meglio definire che “profeti di sé stessi”, che vanno alla ricerca di idee grandi e generose, di visioni profetiche da prendere a noleggio per farsi trainare, cercando di assumere così atteggiamenti profetici, cercando di qualificarsene “esponenti di punta”, “uomini simbolo”, che si sacrificano per portarne la luce a tutte le genti. Ne ho conosciuto, ahimè, nel passato. Ne conosco oggi, cresciuti assai di numero. Potrei tentare di raccontarne l’evoluzione. Posso dire che oggi a prevalere tra i “profeti di sé stessi”, sono i magistrati. Quelli dell’ala scalpitante ed impaziente del Partito dei Magistrati. Impazienti di elargire agli elettori il dono del loro ruolo profetico di mendicanti di collocazioni elettorali e ricercatori di profezie sgangherate dalle quali farsi trainare.
Per mettersi in evidenza non perdono occasione. Cioè fanno di qualsiasi cosa un’occasione per mettersi in evidenza.
La morte di Totò Riina ha scatenato un’ondata di interventi di come dire, “autoevidenziazione” (brutta parola per una brutta cosa). Sono venuti fuori il solito “condannato a morte” che ci ha informato che l’erede o gli eredi del Capo dei Capi della Mafia (in galera col 41 bis da un mucchio di anni) hanno assunto l’impegno di eseguirla. Poi ci sono i profeti della loro capacità di individuare le nuove strade della mafia.
Alcuni di questi “teorici”, magistrati che concludono sempre le loro indagini archeologico-giudiziarie con la constatazione di imperscrutabili misteri che avvolgono i più gravi e sanguinosi delitti di mafia, misteriosamente, però, “non solo di mafia”, vengono fuori puntualmente a spiegarci il futuro della mafia. Capiscono il futuro ma non il presente ed il passato.
Tra tutti i mendicanti preelettorali di pubblicità, il primato spetta indiscutibilmente a Grasso.
Bisogna riconoscergli un fiuto di alta qualità. Dopo il referendum che ha segnato il principio della fine di Renzi, ha cominciato a darsi da fare. Presidente del Senato ha messo da parte ogni riservatezza, ogni limite di buon gusto e si è lanciato in una caccia sfrenata all’autopubblicità. Ha ricalcato le solite strade del mugugno giudiziario, gli scenari nebbiosi di ciò che c’è dietro quel che non si è capaci di capire quando lo si ha davanti agli occhi. Grasso è quello che ha dichiarato che “spera” che venga fuori che l’assassinio di Falcone non è quello che risulta essere: un assassinio di mafia. “Spera” che venga fuori qualche pentito a spiegarci che no, non è stata la mafia e solo la mafia, ma le solite “forze occulte” nazionali ed internazionali.
Unico nella storia tra i Presidenti dei due Rami del Parlamento ha “cambiato casacca”, abbandonando il Gruppo cui, prima della sua elezione a Presidente, si era iscritto, quello del P.D. che sciaguratamente lo aveva fatto eleggere. Mette becco in ogni questione, lancia anatemi contro le leggi che, magari, ha contribuito a far approvare, “forzando la mano” con i poteri presidenziali.
Non c’è ipotesi di formazione politica di Sinistra (se ne fanno una ogni due giorni) rispetto alla quale non si ponga come leader ed ispiratore.
Ma ora si è messo anche a rappresentare tutti gli Italiani, o almeno tutti gli Italiani maschi: a loro nome ha chiesto scusa alle donne per la violenza contro di loro.
Io dovrei, dunque, ringraziare Grasso per avere, anche a mio nome, compiuto questo solenne atto di costrizione e di giustizia. Spero non si aspetti che lo faccia.
Di qui alla data delle elezioni ne vedremo ancora altre.
Questi magistrati profeti di sé stessi, mendicanti di notorietà, di ruoli e di posti in lista, sono, probabilmente, quanto di più grottesco offra la politica italiana, anzi, l’antipolitica che, poi, è di per sé la politica più ridicola e deprimente. E’ ora di cominciare a dirlo alto e forte.
Mauro Mellini