Parlare di schiavitù nel terzo millennio potrebbe sembrare anacronistico, visto che l’abolizione della schiavitù risale al diciannovesimo secolo.
Eppure, ancora oggi, nel mondo ci sono 40 milioni di persone, tra le quali otre 10 milioni di bambini, costrette a lavorare in condizioni disumane attraverso la coercizione o la minaccia fisica o mentale, trattate come merce o comprate e vendute come proprietà.
In molti pensano che queste forme di schiavitù riguardino solo i paesi in via di sviluppo, ignorando che anche nei nostri paesi, cosiddetti civili, la realtà non è molto diversa da quella di alcuni paesi africani o asiatici.
Senza entrare nel merito della tratta di esseri umani – la forma più grave del fenomeno – è sufficiente darsi uno sguardo intorno per rendersi conto di come dietro apparenti “normalità” si celino molte forme di schiavitù moderna. Dal lavoro nero, al sottopagato, alle condotte estorsive che, raramente, finiscono con l’approdare alle aule giudiziarie.
Eppure, quello del lavoro nero, o sottopagato, quando non arriva a configurare il reato di estorsione, non è neppure il peggiore degli aspetti di un fenomeno che vede vittime persone di qualsiasi età, genere o razza, in particolare quelle più vulnerabili, costrette ad accettare offerte di lavoro ingannevoli che possono trasformarsi in sfruttamento.
Le storie di lavoratrici, italiane e straniere, che hanno subito discriminazioni, abusi e violenze durante i lavori nei campi, da tempo sono state oggetto di indagini, interpellanze parlamentari e articoli di cronaca. Per ogni caso individuato e punito, sono centinaia quelli dei quali non si viene a sapere nulla.
Uno stato di diritto debole e la corruzione diffusa, favoriscono queste forme di moderna schiavitù. Forme di sfruttamento e violenze che – ancor più che nei campi o in altri ambiti di lavoro – raggiungono il massimo dell’aberrazione all’interno di mura domestiche. Del resto, statisticamente sappiamo che è proprio all’interno delle abitazioni private che talune forme di violenza si verificano più di frequente.
Soltanto negli ultimi anni sta venendo alla luce il fenomeno delle lavoratrici domestiche e delle badanti che, oltre a subire lo sfruttamento di carattere economico, sono costrette ad accettare le avance dei loro datori di lavoro e a volte i ricatti e le violenze che vanno ben oltre le molestie sessuali.
Un fenomeno che vede carnefici insospettabili vecchietti ai quali, forse a causa del Viagra, gli ormoni sembra non si siano placati. Dall’età compresa tra i settanta e i novanta anni, gli apparenti innocui vecchietti, si trasformano in belve che non esitano a minacciare, ricattare e maltrattare anche fisicamente le loro vittime, consapevoli del fatto che difficilmente queste ricorreranno alla giustizia.
Eppure, talvolta accade, come nel caso dell’ottantenne bolognese condannato a tre anni e quattro mesi per violenza sessuale, o quello del casteggiano che si è vista comminare una pena ad un anno di reclusione e altri ancora, ultimo dei quali quello di un novantenne di Cattolica Eraclea, al quale il tribunale di Sciacca ha inflitto una pena ad un anno e sei mesi di reclusione.
Anche Agrigento, città del mandorlo dal candido Fiore, non è avulsa da questi fenomeni. Tristi e squallide vicende che vedono soggetti deboli (persone in difficoltà economiche, donne straniere ecc) confrontarsi con le difficoltà di dover denunciare squallidi personaggi che della propria posizione economica o sociale fanno un punto di forza per poter imporre le proprie violenze.
In questi casi, la paura nel denunciare i fatti, le difficoltà nel provarli, il timore delle conseguenze successive alla denuncia (compreso quella dell’impossibilità poi a trovar lavoro), la lentezza della giustizia, costringono il più delle volte le vittime a subire soprusi, ricatti e violenze. Talvolta la minaccia, si spinge a millantare (sperando che si tratti soltanto di millantare) conoscenze in ambienti che dovrebbero tutelare le vittime, minacciando persino denunce immotivate e il supporto di possibili (falsi) testimoni.
Che dire poi di quei casi in cui i possibili (falsi) testimoni e le millantate conoscenze non avrebbero esitato a rendersi complici, anche per altri aspetti, del presunto “innocuo” vecchietto?
Del resto, denunciare queste forme di sfruttamento da parte dei moderni “padroni”, per la vittima, oltre alle difficoltà di provare le accuse (e a tutti i retroscena facilmente immaginabili specie se ci si trova dinanzi carnefici facoltosi e conosciuti) significa precludersi la possibilità di trovare nuove occupazioni. Chi mai, infatti, assumerebbe un lavoratore che ha in precedenza denunciato il proprio datore di lavoro?
La moderna schiavitù vede sempre più nuovi padroni la cui età li spinge a compiere qualunque nefandezza nella quasi certezza di non dover temere un verdetto giudiziario che il più delle volte potrebbe non giungere prima di quello divino.
Gian J. Morici