C’è nella attuale situazione politica, nella crisi manifesta delle Istituzioni, della logica del loro assetto liberale e democratico, qualcosa che non può farsi a meno di mettere a confronto con un altro momento, un’altra pagina prodromica di una fase infelice e catastrofica della nostra storia nazionale.
Fin da quando ero ragazzo non potevo fare a meno di riflettere su quel che doveva essere avvenuto in quegli anni in cui il fascismo… minoranza la cui violenza era considerata come una conseguenza “naturale” del caos e dell’eversione portati dal vento che veniva di lontano, del bolscevismo della Russia e, come tale, destinata ad esaurirsi e scomparire con il venir meno di quella “emergenza”, una volta “rimesse un po’ a posto le cose”, era invece diventato padrone assoluto del potere, dando ad esso, a tutta la politica del Paese l’impronta della sua contrarietà intrinseca alle libere istituzioni, all’assetto liberale dell’Unità risorgimentale d’Italia.
Mi accadeva di domandarmi come fosse potuto accadere che la maggioranza dei cittadini, sicuramente lontani ed ostili dalla concezione di uno Stato senza libertà e senza limiti di sorta alla volontà del suo capo, dei suoi padroni, avesse potuto spianare la strada a quella minoranza, violenta e brutale, ma che poco prima era rimasta ben lontano dalla possibilità di sopraffare il resto del Paese.
La domanda “ma che facevano i liberali, i popolani, i socialisti riformisti, la gente comune”, mi assillava e mi provocava un’angoscia pari a quella della oppressione in atto dello Stato totalitario che da quegli eventi era nato.
L’angoscia si ripropone e mi riprende oggi, di fronte alla indifferenza, al non voler vedere l’involuzione delle libere Istituzioni della nostra Repubblica. E l’angoscia è determinata da una analogia innegabile tra gli eventi e la situazione di oggi e quella degli anni 1921-1924.
Se riflettiamo su quanto accade ai giorni nostri su ciò che sta avvenendo nelle nostre Istituzioni, al modo in cui la maggioranza degli Italiani e delle formazioni politiche (se davvero esistono) che li rappresentano (anche questo si fa per dire) assistono allo smantellamento del carattere liberaldemocratico della Repubblica e al dilagare dell’invasione violenta dello squadrismo giudiziario, è con non poco sconcerto che dobbiamo prendere atto che la storia si ripete.
La gente dissennatamente si compiace che gli squadristi in toga diano una buona pestata ai cattivi protagonisti della politica democratica e liberale del Paese. Confidando che, una volta rimesse a posto le cose, sconfitta definitivamente la mafia, ridotta a termini episodici la corruzione, il ricorso alla violenza ed all’invasione giudiziaria cesserà. Se si pongono il problema, ché, altrimenti, si preoccupano solo dell’oggi.
Ad un domani, in cui l’arbitrio giudiziario diventi l’articolo unico di una Costituzione totalitaria (se il totalitarismo ha una Costituzione purchessia) non vogliono, magari, neppure pensare per accettarlo o respingerlo.
Forse non avremo mai anni di vera e proprio sostanziale e demenziale coerenza di un regime oligarchico mostruoso, naturale prodotto dallo squadrismo giudiziario al potere. Può darsi che la “notte del Gran Consiglio”, protagonista che so, il C.S.M., l’Assemblea dell’A.N.M. o chi sa quale altro mostruoso protagonista intervenga prima che il “nuovo corso” si protragga illudendosi di segnare una nuova era. Ma non prima di una nuova catastrofe, come quella che ha travolto il fascismo.
Sono così caduto nella pretesa della divinazione, della predizione del futuro, che la storia, che è essenziale per capire il presente, non permette e non assicura.
Ma la catastrofe non ha bisogno di profeti per essere annunziata. E’ in atto. E’ di questo che dobbiamo, che dovete preoccuparvi.
Scusate se uno che non ha futuro o ne ha ben poco, nel prendere atto della certezza del presente si è lasciato andare più in là.
Mauro Mellini