Djalali era stato arrestato dai servizi segreti iraniani nella primavera del 2016 mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz. Sabato 21 ottobre è stato condannato a morte con l’accusa di “spionaggio” che in Iran prevede la morte. Per due volte gli è stato negato un avvocato di sua scelta e raramente ha potuto parlare con la moglie e i figli che vivono in Svezia.
Secondo quanto riportato da Amnesty International, lo scorso dicembre le autorità iraniane avevano fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava” di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando rifiutò fu minacciato di essere accusato di reati più gravi, ora la minaccia s’ẻ fatta sentenza di condanna. I governi ostili a cui avrebbe dovuto far riferimento erano quello israeliano e gli USA, citati nelle decisioni del tribunale di Tehran a seguito di un processo farsa.
L’Associazione Luca Coscioni aveva già presentato la vicenda di Djalali ai ministri italiani che si erano recati a Tehran per una manifestazione sulla collaborazione tecnico scientifica tra Iran e Italia e aveva partecipato alla Marcia per la Scienza di Roma e Milano dell’aprile scorso chiedendo la liberazione del ricercatore iraniano.
Djalali ha 20 giorni per ricorrere in appello. L’Associazione Luca Coscioni chiede al Governo italiano, un Paese tra i leader della campagna mondiale per l’abolizione della pena di morte e da sempre uno dei più vicini all’Iran, di usare tutta la moral suasion nei confronti di Teheran per scongiurare l’esecuzione di Ahmadreza Djalali.