Rileggendo il titolo del Convegno sul “caso Giovanardi” mi è venuta con prepotenza alla mente la considerazione che avrei fatto certamente alcuni anni fa se qualcuno, magari lo stesso Giovanardi o Quagliarello, che ne sarà il moderatore o chiunque altro, mi avesse prospettato un incontro, una discussione con un titolo simile (Le opinioni…espresse dai Parlamentari nell’esercizio delle loro funzioni…sono penalmente perseguite?). L’avrei considerata una scempiaggine, una provocazione o, magari una poco felice ed ingenua presentazione di un’ennesima discussione sul processo di Verona ai componenti del Gran Consiglio per il voto del 25 luglio 1943. Avrei pensato, tutti avremmo pensato: “e ché, forse non sappiamo leggere nemmeno la Costituzione?”.
Già, ma oggi abbiamo rischiato, la nostra Costituzione, di vederla rottamata e rendere illeggibile. E qualcosa di peggio serpeggia nelle menti balorde di non pochi cittadini e tra gli stessi personaggi che hanno ruoli istituzionali, per i quali, invece, quella proposizione, invece che come asserto, con tanto di punto interrogativo, dovrebbe rappresentare per sé stessa una sorta di bestemmia, di oltraggio al Parlamento ed al fondamento stesso della democrazia.
Che cosa dunque è accaduto in questi anni se ora un simile interrogativo non è più assolutamente né uno scherzo né una provocazione e, tanto meno l’interrogativo di persone solo un po’ ignoranti?
La risposta, ahimè è grave, anzi, gravissima, quando lo è il “caso” che ha suggerito, anzi, imposto riunirci a discutere di tutto ciò.
No. La Costituzione non è stata abrogata, né è stato abrogato il primo comma dell’art. 68 di essa, dopo che, invece, sciaguratamente, è stato abolito l’obbligo dell’autorizzazione a procedere che era prevista dal 2° comma. E’ successo, forse, qualcosa di peggio. Da una parte una stupida mania di estremismo “antipolitico” e populista, ingiustamente attribuito solo ai Cinquestelle, perché, in realtà è parte del patrimonio subculturale di ciò che resta della Sinistra e dintorni, vuole rappresentare ogni necessaria condizione di autonomia e di libertà dei Parlamentari come “privilegi”, “disuguaglianze” da “superare” e sopprimere.
Dall’altro lato, dal sottofondo reazionario di una certa Sinistra d’accatto, neanche solo quella propriamente populista, le “lotte” cui da quella parte si vuole attribuire carattere demiurgico con obiettivo di una palingenesi sociale universale, quale, in primo luogo l’antimafia, pretendono che ogni garanzia, ogni libertà, ogni prescrizione debbano essere considerate come finalizzate e condizionate alla “vittoria” di tali lotte, essere il “bene” cui ogni norma, ogni istituzione debbono considerarsi tendenti e finalizzate. Così che, invece, quanto, a loro giudizio, la libertà non collimi con le finalità, non si adatti alle strategie di tali “lotte”, non miri a certe vere o presunte “conquiste”, il “cattivo uso” di essa, dei privilegi, obblighi, ad essa connessi, ciò imponga di non tenerne conto. E’ l’antica trappola controriformista dell’identificazione della libertà con la “libertà di fare il bene”, libertà, quindi condizionata ad un giudizio di convenienza a tale ipotetico fine.
E’ questa la chiave delle ideologie di ogni moderna e antica tirannia, del fascismo e dello stalinismo.
Si può dire che l’antimafia ne sia una sorta di caricatura, come tale non meno pericolosa.
Ma, forse il sistema politico-culturale cui più chiaramente corrisponde questa pretesa di sopravanzare, con la motivazione della necessità di “lotta alla mafia” libertà, istituzioni fondamentali, la stessa sovranità popolare (Rosy Bindi non vuole forse arrogarsi a sé ed alla sua Commissione il vaglio “di qualità” delle candidature elettorali politiche?) è il komeinismo.
Per questi nostri ipocriti e pagliacceschi “guardiani di non so quale rivoluzione”, appare così “naturale” che si giudichi ed eventualmente si punisca l’operato di un Parlamentare, le sue opinioni, la sua specifica funzione ispettiva di componente di una Commissione che dovrebbe essere di inchiesta (anche se se ne vuol fare, invece una specie di concistoro teologico) e per essi diventano possibili oggetto del “magistero penale” che applichi le “dovute” pene, “quegli abusi”, quel cattivo uso della libertà e mandano più o meno idealmente al rogo chi, benché sia espressione e rappresentante della sovranità popolare, la eserciti “male”, così da “indebolire” (tesi del processo di Bologna) anziché rafforzare la lotta alla mafia.
Quando entrai in Parlamento, ricordo che Pietro Ingrao, Presidente in quella legislatura, insisteva sempre sul concetto della “Centralità del Parlamento”. Certo non avrebbe mai immaginato che un Deputato o un Senatore, quale che ne fosse la posizione politica, fosse incriminato per avere, nello specifico esercizio delle sue funzioni parlamentari e di componente di una Commissione parlamentare, “indebolito la lotta alla mafia” o a chi sa cos’altro.
Quello che con il Convegno del 21 settembre cercheremo di fare, avrebbero dovuto farlo i Presidenti delle due Camere. Era preciso obbligo della loro carica di difendere la funzione e la libertà del Parlamento dei Parlamentari e, quindi, la sovranità popolare.
Ma non si cava sangue dalle rape.
Un Presidente del Senato che si è doluto del fatto che non vi sia traccia che l’assassinio di Giovanni Falcone sia opera, oltre che della mafia, anche di “altri” (pur non facendo riferimento esplicito a C.I.A., Servizi deviati, Massoneria deviata o meno etc.) ma che spera che ciò emerga, grazie a qualche nuovo pentito, non c’è da meravigliarsi che non sia accaduto a Giovanardi, con noi e, soprattutto, con il Parlamento, in difesa delle sue funzioni e della sua assoluta libertà.
Spero che tutti quanti seguono con interesse e con crescente consenso il lavoro che andiamo svolgendo, la nostra battaglia per la libertà e la giustizia non facciano mancare la loro personale solidarietà a Carlo Giovanardi, Senatore della Repubblica. E al Parlamento.
L’indirizzo di Giovanardi è:
Senato della Repubblica, Palazzo Madama oppure carloamedeogiovanardi@senato.it
Mauro Mellini