E’ morto l’altro giorno Stefano Rodotà. Un po’ meno vecchio di me, era una mia antica, antichissima conoscenza, risalente agli albori del Partito Radicale in cui fece una breve permanenza, allontanandosene quando già o poco dopo all’epoca del referendum sul divorzio.
Da allora la sua è stata la vita solita della maggioranza degli intellettuali italiani con corpo e mente nella sfera del P.C.I. e la fantasia al di fuori di esso (e della realtà). Ma tra i classici “indipendenti di Sinistra”, che il P.C.I. collocò in Parlamento, Rodotà mantenne forse uno stile un po’ diverso e più dignitoso.
Quando il P.C.I. cercò di cambiare pelle e natura dopo il crollo dell’Unione Sovietica, pensò forse che qualche sua fantasia potesse realizzarsi, fu fatto presidente di una delle espressioni trasformistiche comuniste, mi pare il Partito Democratico della Sinistra.
Ma non durò. Da ultimo la sua netta opposizione al renzismo, con il NO al referendum sullo sconquasso della Costituzione ha coronato degnamente la sua vita politica per più versi piena di ovvietà e di sussulti di autonomia e di dignità.
L’ultima volta che lo incontrai, nel Transatlantico di Montecitorio, non ricordo esattamente la data, era Garante della privacy o aveva lasciato da poco tale carica. Non potetti fare a meno di manifestargli la mia repulsione, non priva di senso del ridicolo, per tutta una serie di norme, in base alle quali, ad esempio, tutti gli studi legali italiani sono fuorilegge, perché le finestre dovrebbero essere munite di inferriate, i fascicoli chiusi in armati con lucchetto, in consegna a “responsabili” della privacy dei clienti, che dovrebbero consegnarli allo stesso avvocato con circospezione per poi rimetterli sotto chiave, norme dovute chiaramente alla demenza di chi le aveva scritte. E ciò in un Paese in cui tutti intercettano le telefonate di tutti, i giudici rilasciano le autorizzazioni in bianco ai P.M., che a loro volta, per lo più, fanno qualcosa del genere con poliziotti e carabinieri.
Stefano allargò le braccia e mi disse, “certo, certo. Ma che vuoi qui finisce sempre tutto così. Per affermare i principi bisogna rassegnarsi a vederli ridicolizzati”.
Era quello il Rodotà dell’ovvio, della rassegnazione. E delle cariche ricevute dal P.C.I. Tra i tanti che il P.C.I. poté procurarsi come “compagno di strada” fu capace di conservare qualcosa che da tutti lo distingueva. Si vide quando il P.C.I. diventò P.D. e a Berlusconi subentrò Renzi.
Il suo NO al referendum significò qualcosa.
Mauro Mellini