“Si parva licet magnis comparare” se è lecito paragonare i pigmei ai giganti, i buffoncelli alle persone serie, questa botta della catastrofe della legge elettorale Tedeschellum-Bordellum (ottima definizione inventata da un nostro lettore) potrebbe definirsi la Waterloo di Renzi.
Così come Renzi paragonato a Napoleone fa solo ridere, mancano al paragone sia Wellington che Bucher. Ma la marionetta Renzi era tornata sulla scena dopo la catastrofe del referendum sulla sua riforma costituzionale, qualcosa come il disastro della Campagna di Russia, fuggito da un salutare esilio, come Napoleone dall’Isola d’Elba. Credeva con le “primarie”, quella cosa falsificata, malamente copiata dagli odiati Stati Uniti, di aver fatto dimenticare il 4 dicembre, come se un Emiliano ed un Orlandino, che gli hanno fatto da spalla, potessero paragonarsi alla stragrande maggioranza degli Italiani del NO.
Preso dalla fregola di votare prima che si facesse l’abitudine al suo “accantonamento”, Renzi ha sfidato la legge di gravità che tiene attaccati (certi) eletti ai loro seggi, chiedendo ai Parlamentari una legge che consentisse di mandarli a casa al più presto. E ha avuto la sua Waterloo.
Certo la situazione che si profila è paradossale: il guasto sciagurato commesso dalla Corte Costituzionale che ha lasciato l’Italia formalmente senza legge elettorale, pretendendo che gli eletti “incostituzionali” provvedessero ad autoespellersi dal Parlamento, sciagurata devianza “giurisdizionalista” da noi denunciata nel silenzio generale dei “grandi giuristi”, sta rivelandosi appieno, dando i suoi frutti velenosi.
Quelli che alla Camera hanno vinto non sono gli eroi della libertà e della democrazia. Nel suo complesso a vincere è stata la coalizione degli antipatici, dei collaudati voltagabbana, di quelli che, in fondo, in questo gran casino si trovano nel loro brodo di cottura.
Ma ad essere sconfitto è stato pur sempre un ulteriore atto di prevaricazione, costituito da una legge che avrebbe assicurato, in base alle ultime rilevazioni dei sondaggi, il maggior numero di seggi ai padroni della democrazia.
Sconfitto, peggio di Renzi, è Berlusconi che ha dato l’impressione di esser salito anche lui sullo sgangherato carro del vincitore, nel momento in cui, il presunto tale stava proprio per tornare ad essere perdente.
A caccia dei “moderati” da acchiappare, Berlusconi ha dato il su contributo ad ingigantire la schiera degli incazzati tutt’altro che “moderatamente”. Era di ieri la sua trionfante uscita: “i candidati li scelgo io”, che, in fondo è la conferma della inesistenza di Forza Italia come partito e del suo ruolo abnorme, incapace di creare un’autentica forza politica.
Sfuggito per un pelo a farsi risucchiare dal suo un po’ scemo amore per i “moderati” nell’ambito del nazarenismo e dei perdenti all’epoca del referendum, oggi non solo ha dato il suo nome ad un patto per la legge elettorale, in sé comportamento dovuto, ma ha puntato i piedi per le peggiori caratteristiche della legge: no alle preferenze, fuori i “minori”. Per non dire altro.
“Il Giornale”, organo ufficiale di Berlusconi, ha titolato la notizia della legge andata in fumo con le espressioni più tragiche “Franchi traditori…” etc.
Un’ultima considerazione: la “governabilità” è la giustificazione sia delle soperchierie di ogni legge elettorale “su misura”, sia della necessità di farne una per ogni tornata elettorale. Visto come si governa, questa meta della “governabilità” ottenuta per via di marchingegni elettorali, anziché un incentivo ad accettarla sta diventando una sciagura da evitare. La gente sta finendo per convincersi che è meglio che il Paese sia ingovernabile.
Follia? Può darsi, anzi, certamente. Ma chi, magari in nome dei “moderati”, ci ammannisce i governi e i governanti di cui facciamo l’esperienza, non può meravigliarsi di questo latente anarchismo.
Mauro Mellini