“Tutti i salmi finiscono in gloria” era un proverbio con il quale si sottolineava la stessa conclusione, per lo più in termini di convenienza economica e monetaria, di ogni sorta di imprese, questioni, discussioni. Nella Roma papale e non solo.
Ora sta venendo fuori la “fine in gloria” delle “organizzazioni non governative” che si danno da fare per realizzare quanto predicato da Papa Bergoglio: l’”accoglienza”. A cominciare dal mare, dove, senza attendere che i gommoni e barconi affondino, mercanti di carne umana, “scafisti” etc. con complici e produttivi accordi chiamano la Guardia Costiera e le Organizzazioni di Accoglienza a fare il trasbordo dei migranti, E’, tutto sommato, un sistema più “umanitario” di gestione dell’accoglienza e di razionalizzazione del flusso di “emigrazione”.
Se si accetta il principio del dovere di “accoglienza” e si respingono selezioni preventive, limitazioni, espulsioni, non si vede perché si debba continuare a far finta di demonizzare gli scafisti ed a limitare la qualifica di “trafficanti di carne umana” o quelli che gestiscono la prima parte della trasmigrazione.
Le frasi di Bergoglio, che condanna chi vuole erigere muri (Trump) invece di costruire ponti ed aprire cancelli, sono tutte belle e commoventi. Peccato che le indirizzi a chi subisce le invasioni e non a chi ha le sue frontiere ben protette con apparati tali da impedire l’ingresso a chicchessia.
Perché le prediche papali, piaccia o non piaccia, solo apparentemente sono dirette “Urbi et Orbi”: in pratica sono dirette a chi è oggetto di vere e proprie invasioni. Certo, anche agli invasori si può fare “buona accoglienza”, diventando collaborazionisti e, magari mettendosi al loro servizio. Non bisogna certo ricorrere ad esagerazioni, ma nemmeno diluire nell’astrattezza moralistica problemi colossali conseguenti a migrazioni di proporzioni come quelle che dilagano in Europa e investono soprattutto l’Italia.
C’è chi fa i calcoli sull’incidenza percentuale della popolazione immigrata prevedibile per la metà del secolo. Chi vivrà vedrà. Una cosa è però certa. Che tutte le ciance sulla “società multietnica” cui ci dovremo predisporre, sono tali da reprimere e cercare di cancellare un problema di fondo: c’è o no un diritto dei popoli alla loro identità? E la nostra identità nazionale, fatta della lingua, dei costumi, della storia, dei monumenti, delle opere d’arte, può resistere ad un mutamento della popolazione determinato da un flusso migratorio gigantesco ed incontrollato?
Queste considerazioni non debbono portare a reazioni istintive ed isteriche, ma non possono neppure essere messe da parte in obbedienza a proposizioni dottrinali astratte e, quindi, sostanzialmente false, quale che ne sia l’Autorità di chi ci impartisce la lezione.
Non mettiamo da parte la ragione. Non ne potranno derivare che catastrofi.
Mauro Mellini