La motivazione della sentenza di assoluzione di Calogero Mannino è stata accolta con generale plauso degli ambienti “garantisti”, di quelli che sin dall’inizio avevano sentito puzza di bruciato (ed altre più nauseanti) in questa tragica farsa dei processi “trattativa Stato-Mafia”.
La sentenza ridicolizza giustamente la figura di Ciancimino Junior, le storie del “papello”, “incolla e fotocopia” etc. etc.
Occorre dire subito che la G.U.P. del Tribunale di Palermo, Marina Petruzzella, ha fatto quanto era persino eccessivo sperare potesse essere fatto in Italia ed a Palermo. E non c’è nemmeno dubbio che quelle cinquecento pagine di ragionevolezza sono una pesante condanna di tutta l’incredibile storia dello Stato messo sotto processo per aver subito le minacce a scopo di “deviarne” ed intaccarne la “fede antimafia”.
Ma di qui a dire che la giustizia e la ragione hanno trionfato e che gli attori della farsa hanno avuto alla fine (che, intanto, non è la fine…) quello che si meritavano, ce ne corre.
La sentenza Mannino afferma molte verità, fa considerazioni, neutrali. Rende, in fondo, giustizia (ma non troppo) all’imputato, ma non si può dire che abbia detto tutto e soltanto quello che c’era da dire e che la logica che informa la “costruzione” della pronunzia sia ineccepibile nella sua struttura oltre che nel dato ultimo della ineludibile assoluzione.
Vi sono nella parte finale della motivazione poche righe che avrebbero dovuto essere poste all’inizio, così da esaurire e superare, praticamente, ogni altra questione:
“Non potrebbero considerarsi compartecipi e corresponsabili della minaccia…coloro che pur volendo assecondare le pretese mafiose non intendessero condividere la minaccia della prosecuzione delle stragi…L’azione… diretta a porre fine ad un’azione criminosa in corso…non comporterebbe… una rsponsabilità concorsuale”. In parole povere: la vittima che soggiace alla minaccia non si rende correo della minaccia stessa. Punto. Ma detto questo, dire che quelli che della proposizione inversa, secondo cui le vittime sono invece corresponsabili, hanno fatto un pandemonio e costruito castelli tra le nuvole, sono delle teste di cavolo, sarebbe stato persino superfluo. Ed allora le precedenti centinaia di pagine dedicate a dimostrare che Ciancimino è quello che è, cioè un cialtrone, sono, se non sprecate, certo non necessarie e affermare che “gli elementi indiziari” per affermare che vi fu da parte sua (di Mannino) il genere di interferenza di cui è accusato risultano non adeguati” è ultronea e anche un pochetto ipocrita dopo le pagine che, anziché “non adeguate” dimostrano i cosiddetti indizi inventati e falsificati con impudenza. Correndo dietro ai quali si sono spesi miliardi ed impegnata l’opera di una quantità di magistrati, poliziotti, tecnici etc.
Questo capovolgimento dell’ordine e dell’importanza delle ragioni dell’assoluzione può essere, in un processo per un caso qualsiasi, cosa, se non proprio trascurabile, certo di poco conto. Con i tempi che corrono. Ma in un caso come questo in cui la logica dei P.M. impone di considerare sul banco degli imputati anziché Massimo Calogero nato etc., il Governo, i Ministri, lo Stato stesso quello che si usa definire “l’impianto accusatorio” ed in cui le accuse vanno valutate per la loro inconcludenza, ma anche e soprattutto per la loro tragica comicità, questa struttura invertita della sentenza è assai allarmante.
In Italia non si può pretendere di avere giustizia, di vedere trionfare ragione e diritti a conclusione di dolorosi e faticosi processi. Bisogna accontentarsi. Meglio di niente. Ed aver pazienza del costo grave che fare giustizia anche solo a metà comporta. Per chi ci riesce.
Mauro Mellini