Il polemista Eric Zemmour, è sotto il mirino della giustizia francese ed un’inchiesta preliminare è stata aperta per “apologia del terrorismo”. Zemmour ha dichiarato in un’intervista alla rivista Causeur di “rispettare i jihadisti pronti a morire per ciò in cui credono, cosa che noi non sappiamo più fare”.
Chi lo difende sostiene che si tratta di una frase estrapolata dal contesto. Nella stessa intervista il provocatore ha avuto il merito di dichiarare che “rifiuta la qualifica dei membri dell’organizzazione terroristica di menti deboli” e su questo ha perfettamente ragione, bisogna conoscere il proprio nemico e prenderlo sul serio. Sottovalutarlo significherebbe perdere a priori.
Invece la frase incriminata è chiara ed è stata espressa in un contesto francese ed internazionale di conflitto con i terroristi. Perché il terrorismo dell’Isis è una vera e propria arma di guerra e di conquista.
C’è chi lo difende. Tanto meglio per lui che ha ottenuto per l’ennesima volta una bella pubblicità ma la libertà d’espressione non significa permettersi tutto. Oppure se ne assumono le conseguenze.
La frase avrebbe anche potuto passare inosservata, tanto più che siamo abituati alle esternazioni choc di Zemmour ma possiamo puntare il dito contro le famiglie delle vittime dell’attentato del 13 novembre che si sono rivolte alla giustizia? No!
C’è un termine di troppo nella frase incriminata “rispetto”. Come si possono rispettare dei combattenti che massacrano al coltello, che fanno piazza pulita di giovani in una sala di spettacolo armati di kalashnikov perché ascoltavano musica proibita?
Suvvia! Zemmour rimpiange il fatto che non sappiamo farci saltare in aria come i kamikaze in mezzo alla folla per un’ideologia distorta. No comment…
Luisa Pace