Si potrebbe fare un avviso pubblico; un bel manifesto che imponga di lasciare il nostro paese entro pochi giorni. Nulla di diverso da quello che accade a seguito di un provvedimento di espulsione notificato a un cittadino straniero ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato.
Quante volte abbiamo sentito di provvedimenti di questo genere? Comunicati stampa, interviste, convegni, diventano occasioni di sterili passerelle politiche nel corso delle quali illustrare brillanti operazioni antiterrorismo i cui risultati in verità sono pressoché nulli.
Risale a qualche giorno fa l’ennesimo provvedimento emesso dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, del quale è stata data notizia alla stampa. “Ho firmato l’espulsione di un pakistano– si legge nel comunicato del ministro – ritenuto pericoloso per motivi di sicurezza dello Stato. Un’importante operazione antiterrorismo – condotta egregiamente dai Ros e dal Comando provinciale dei Carabinieri di Milano, supportati dalla magistratura – ha consentito, infatti, l’individuazione di questo soggetto di ventisei anni, residente a Milano, rintracciato a seguito di una complessa attività di indagine che ha rilevato un processo di radicalizzazione – di tipo jihadista – già in atto”.
Ennesimo numero buono per le statistiche di fine d’anno e relativa conferenza stampa per illustrare i “brillanti risultati” ottenuti.
Nel 2015, l’Europa ha espulso centinaia di migliaia di migranti e anche in Italia sono stati numerosi i provvedimenti di espulsione, tra i quali quelli che riguardavano 64 sospetti estremisti islamici, al fine di prevenire gli attacchi sul suolo italiano.
Ma quanti sono in realtà coloro i quali hanno realmente lasciato il nostro paese? Difficile a dirsi visto che non sempre al provvedimento segue l’abbandono del territorio nazionale. Un conto sono infatti le espulsioni, un altro i rimpatri effettivi che in assenza di accordi con i paesi di origine dai quali provengono le persone soggette al provvedimento, sono impossibili da realizzare.
Problematiche difficili da risolvere e preoccupanti in un contesto di normale migrazione. Catastrofiche a seguito dell’esodo senza precedenti al quale stiamo assistendo e con il sempre maggiore rischio di eventi terroristici in occidente.
Perché l’Italia, fino ad oggi, sembra essere stata miracolosamente risparmiata dai terroristi? Sicuramente non per le teorie avanzate dai tanti complottisti che invadono il web. Certamente non per l’elevata sicurezza che è in grado di garantire la nostra nazione, nonostante i nostri apparati abbiano ben poco da invidiare alle migliori polizie europee. Anzi, tutt’altro.
Nonostante i tagli ai bilanci delle Forze dell’Ordine il sistema sicurezza italiano sembra reggere e non certo per merito della classe politica che s’intesta i successi del duro lavoro altrui, non provvedendo neppure a svolgere quello che le compete varando leggi idonee a prevenire e reprimere eventuali attività terroristiche nel nostro territorio.
Cosa ha dunque risparmiato finora l’Italia? Diciamocelo chiaramente, se l’Italia non ha ancora subito quello che è già avvenuto in paesi come Francia, Belgio e Germania, tanto per citare gli ultimi episodi, lo si deve al diverso contesto sociale che vede la nostra popolazione storicamente radicata nel cattolicesimo e all’esigua presenza di stranieri provenienti da aree a rischio, di seconda o terza generazione.
Questo ha fatto sì che il numero dei foreign fighters partiti dall’Italia alla volta della Siria o dell’Iraq, sia notevolmente basso in rapporto a quello di altre nazioni europee. Meno jihadisti che vanno a combattere all’estero, equivale a meno jihadisti di ritorno e minor pericolo per noi italiani.
Ciò non toglie il fatto che anche nel nostro paese esistono piccole roccaforti di estremismo islamico che rappresentano un fattore di rischio che non può essere ignorato.
L’Italia ha conosciuto solo negli ultimi decenni il fenomeno dell’immigrazione di massa dai paesi africani, causato dalla mancanza di lavoro nei paesi d’origine e di conseguenza dall’alto tasso di povertà.
Seppure già agli inizi degli anni ’90 si registrava la presenza jihadista in Italia, l’esiguo numero di qaedisti e di predicatori-reclutatori provenienti da aree quali quelle dei Balcani, laddove il terrorismo islamico del nostro continente affonda le proprie radici, ha fatto sì che le comunità musulmane presenti nel nostro territorio abbiano mantenuto una connotazione nazionalistica che ne ha evitato la mescolanza e i facili processi di indottrinamento e reclutamento che ne sarebbero derivati.
A questo si aggiunge il fatto che quei soggetti facilmente reclutabili in passato, a causa della breve distanza che separa la nostra penisola dal Nord Africa, in buona parte sono partiti alla volta dei paesi d’origine per combattere nel corso delle “primavere arabe”. Alcuni di loro, in epoca più recente, si sono poi uniti alle varie organizzazioni terroristiche per combattere una guerra di più ampie proporzioni, rivendicando il loro passato di combattenti islamici.
L’Italia, dunque, per diverso tempo è rimasto il paese di transito da utilizzare per raggiungere lo spazio Schengen o per dare supporto logistico ed economico ai mujahidiin.
Una realtà che da qualche tempo sta cambiando e della quale sembra non ci si accorga o non ci se ne voglia accorgere. Come per altre nazioni prima dell’Italia, i processi di radicalizzazione che portano all’estremismo violento, rappresentano il maggior pericolo della diffusione di una cultura jihadista e il verificarsi di attentati.
Una radicalizzazione rapida, improntata sull’aura di mujahidiin trasformati in imam, che tramite l’uso massiccio di internet riescono ad indottrinare e reclutare le nuove generazioni che non hanno neppure la conoscenza dell’Islam e delle leggi islamiche.
In questo contesto, non è difficile far leva su fattori sociali e ideologici, per trasformare uno scontento in un radicalizzato e poi in uno jihadista pronto ad entrare in azione.
Prova ne sia che la maggior parte dei terroristi che hanno operato in Europa negli ultimi anni, non hanno affatto le caratteristiche proprie di soggetti che hanno studiato l’Islam rispettandone i dettami.
Piccoli criminali con precedenti penali, consumatori di alcol e droghe, soggetti dall’equilibrio psichico assai precario, sono stati trasformati in autentiche macchine da guerra tramite l’ideologia religiosa estremista diffusa attraverso le reti internet.
A questo si aggiunge il sempre maggior numero di italiani convertiti e radicalizzati. È sufficiente uno sguardo distratto ai social e alle statistiche, per rendersi conto del fallimento dell’iniziativa che doveva vedere cattolici e musulmani pregare insieme per dire no al terrorismo.
Su quasi due milioni di musulmani in Italia, le adesioni sono state stimate in circa ventitremila.
Pochi di loro, troppo pochi, hanno cercato di promuovere sui social l’iniziativa, ottenendo uno scarsissimo risultato, dovuto anche alla loro impreparazione. In molti hanno infatti dovuto rivedere le proprie posizioni favorevoli all’evento, dopo aver dato la stura al fiume delle citazioni e degli hadith che mostravano come fosse sbagliato, se non peccaminoso, per un musulmano entrare in una chiesa e ancor più assistere a una funzione religiosa.
Il risultato è stato quello di una netta vittoria dei più radicalizzati sui cosiddetti moderati, con plausi e simpatie da parte dei meno eruditi, tra i quali tantissimi italiani convertiti, nei riguardi dei primi.
Resta dunque più che mai aperto il dibattito in merito alle soluzioni da adottare. Escluso il cosiddetto “foglio di via obbligatorio” (che senza altri strumenti e nei casi in cui risulti inapplicabile a seguito della mancanza di accordi con i paesi di origine dei destinatari lascia il tempo che trova), le alternative, peraltro all’attuale “nulla”, rimangono quelle di una definizione globale e condivisa, quantomeno a livello europeo, dei termini “radicalizzazione ed estremismo”, e l’approvazione di leggi adeguate a prevenire e reprimere i fenomeni; il lavoro preventivo da parte dell’intelligence alla quale sarebbe necessario consegnare idonei strumenti anche di carattere legislativo; un’adeguata formazione e – anche in questo caso – la consegna di nuovi mezzi alle forze dell’ordine; un diverso approccio strategico da parte del mondo accademico e del giornalistico, al fine di avere il maggior numero possibile di informazioni e dati da analizzare per ottenere una migliore conoscenza sulle future minacce e prevenire un’ulteriore radicalizzazione.
Fin quando la nostra classe politica non avrà compreso questo, continueremo con gli inutili proclami di impossibili espulsioni.
E con gli italiani radicalizzati ed estremisti? Potremmo minacciare anche loro di un’espulsione verso chi sa dove, come facciamo oggi con gli stranieri che non possiamo estradare.
Perché non fare dunque un manifesto pubblico di generalizzata espulsione o minaccia dell’inferno una volta raggiunto l’aldilà per cause naturali o per vecchiaia, senza le oltre settanta vergini?
Il risultato non sarebbe poi così diverso da quello attuale, se non addirittura migliore, e risparmieremmo su costi, indagini e controversie giudiziarie…
Gian J. Morici