Nei giorni scorsi il Governo Renzi sembrava aver ottenuto una notevole attestazione di fiducia internazionale. L’America, magari quale espressione di una certa duttilità di Obama, aveva imposto che le operazioni “anti ISIS” in Libia, che sta divenendo il più delicato e difficile teatro delle guerre al terrorismo del Califfato, dovessero avvenire sotto il comando italiano.
E’ inutile negare che gli entusiasmi per questo “riconoscimento” a così alto livello venissero soprattutto da Palazzo Chigi e che da Palazzo Chigi fosse alimentata la “soddisfazione” della (di certa) stampa.
Già nei giorni immediatamente successivi alle stragi di Parigi, il Ministro degli Esteri Gentiloni aveva dichiarato che l’Italia avrebbe “fatto la sua parte” mettendo a servizio della santa causa le sue particolari capacità: “quella della direzione e del comando”. Una valutazione che occorre risalire a Carlo V perché trovi consenso e conferma, ma che, ciò malgrado, alimenta le speranze e la boria di molti capi militari e non del nostro Paese.
Ma…Ma non mancarono subito i ma. Quelli più grotteschi ed umoristici furono quelli proprio dello stesso Gentiloni, che affermò che la direzione italiana avrebbe potuto e dovuto dare alla guerra, al terrorismo un carattere misteriosamente “non conflittuale”.
Ora, poi, che il baricentro di questa disgraziata vicenda del Califfato, dell’I.S.I.S., insomma, dei tagliagole si sta spostando verso la Libia, già base di partenza dell’ondata d’invasione migratoria verso le nostre Coste, la storia della missione internazionale che dovrebbe fronteggiare, l’assalto del fondamentalismo islamico all’Europa assume connotazioni meno evanescenti ed impegni più pesanti.
Malgrado l’entusiasmo per il contentino americano del “comando italiano” alla “missione libica” che ha infiammato Palazzo Chigi, è stata posta subito una condizione, apparentemente non priva di ragionevolezza: quella di una richiesta dell’intervento da parte della stessa Libia.
“Signore, fatemi vedere (e qui la cosa più irraggiungibile del momento) e poi raccoglietemi accanto a quell’anima benedetta”. Era questo il “fumetto” della “Vedova Scaltra”, della vignetta fissa della Domenica del Corriere.
La richiesta di intervento da parte di un governo che non c’è e che è ben difficile che possa arrivare ad esserci per davvero, conferiva e conferisce ai propositi del Governo Renzi di “fare la nostra parte” un carattere furbetto, rappresentando una garanzia di impossibilità di realizzazione del passaggio dalle chiacchiere ai fatti.
L’umorismo amaro di questa posizione “all’italiana” è reso più evidente e grottesco dal ricordo di propositi di “guerra non conflittuale” formulata nello scorso autunno da Gentiloni. Ed ancor più umoristico è l’entusiasmo per la designazione per il comando italiano di una campagna che però “non s’ha da fare e che non si farà”.
In qualche modo, chi ha smontato la grottesca costruzione di contraddizioni tipicamente renziane, è stato Berlusconi, che non ha esitato a gettar acqua sul fuoco degli entusiasmi per il “successo” ottenuto senza colpo ferire (e senza volontà di colpire sul serio, anche in futuro). Solo allora, dallo stesso Palazzo Chigi è venuta fuori la voce della prudenza, prendendo atto che finché non si capisca nemmeno quel che in Libia sta succedendo e chi combatta chi, è un po’ difficile ipotizzare un qualsiasi intervento. Con o senza comando Italiano.
Mauro Mellini