La notizie che secondo cui la scelta del Centrodestra per il candidato sindaco a Roma sarebbe caduta (c’è chi la dava per certa e chi no, comunque non era solo uno scherzo) nientemeno che su Rita Dalla Chiesa, mi ha spinto ieri a scrivere “a caldo”, cose un po’ pesante ma non ingiustificate sul livello disperante di chi tale scelta ha fatto.
Ma non è solo la scelta (o non scelta) del Centrodestra quella che ha dell’incredibile. Quelle delle altre formazioni politiche (si fa per dire) non sono troppo diverse.
Candidati che sembrano venuti fuori in quanto disposti ad andare a sicura sconfitta. Anche se poi, non potendo tutti essere sconfitti, uno che ci riuscirà peggio degli altri sarà, invece “vincitore” cioè eletto. Ma sarà pur sempre un “sindaco a perdere”.
Andrea Granata mio caro amico e collaboratore, che sa giuocare a carte, mi dice che c’è un certo gioco “il tressette a perdere”. Cioè a chi fa meno punti.
Le Comunali a Roma, mentre nelle altre città vedranno candidati che concorrono per vincere, vedranno tutti, candidati e partiti (quelli che si spacciano per tali) che si presentano per perdere.
E’ antipatico dover fare valutazioni troppo personali, ma un po’ tutti, chi più o chi meno, i candidati sindaci di Roma fanno ridere, o se vi pare, fanno piangere. Chi per una ragione, chi per un’altra, chi per tutte quelle che possono aver rilievo, i candidati sembrano scelti con la svogliatezza di chi non si preoccupa di offrire il meglio per ottenere più ampi consensi, se non addirittura con una trasparente riserva mentale consistente nel desiderio di evitare di vincere.
C’è poi qualcuno che, nella sua rozzezza intellettuale e politica non vuole, e non vuole pressoché apertamente, correre il rischio di vincere a Roma.
Gli ultimi avvenimenti, del resto, fanno pensare ad una “specialità” di Roma, magari alla sensazione che un Sindaco di Roma, in una Città dove già si affollano troppi poteri, come per l’eco della storia della contrapposizione tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica, tra Re e Papa, ma non solo, sia di troppo un Sindaco eletto dal Popolo. Già abbiamo avuto la dimostrazione che il potere di estromettere un Sindaco di Roma (anche se, magari, non altro che la relativa caricatura) lo ha, e lo ha esercitato benissimo, il Papa e non il Governo Italiano. Qualcosa di analogo avverrà forse per la nomina.
C’è poi l’idiozia di non parlare più di “Comune di Roma”, ma di “Roma Capitale”, proprio come se la Capitale non dovesse essere un Comune. E ci sono i precedenti. Il fascismo, che diede ai Comuni d’Italia i “Podestà” al posto dei Sindaci, diede a Roma il “Governatore”, magari dimenticando, per ignoranza della storia, che fino a meno di un secolo prima il Governatore, “Monsignor Governatore” era piuttosto un giudice, o, magari un P.M. giudice, capo del Tribunale del Governo (con sede a Palazzo Madama) e che le funzioni dell’amministrazione comunale erano distribuite tra varie “Tribunali” (delle Strade, della Grascia, delle Ripe etc.) con una anticipazione della commistione tra potere giudiziario e potere amministrativo. C’era poi un simulacro di amministrazione laica cittadina, che, a parte la sede in Campidoglio e l’uso dell’”S.P.Q.R.” ed il pomposo titolo e l’abbigliamento smagliante di Senatore (anticipazione della “riforma Renzi?”) conferito ad un nobile romano, era privo di qualsiasi potere che non fosse quello di organizzare le feste di carnevale con la corsa dei cavalli (i barberi) per il Corso e quello di ricevere l’omaggio ed il drappo del premio al vincitore “dovuti” dalla Comunità Ebraica (con il ringraziamento di un calcio ed il commiato “andate!”). Per il resto non contava un fico secco. Mi pare di avere altra volta riportato l’illustrazione delle funzioni del Senatore (che, tra l’altro, doveva spendere un patrimonio per una carnevalesca cerimonia del suo solenne insediamento) fatta di G.G. Belli:
“……………………………
Dice: E che ufficio tié questo Signore?
Io la finii allora: Ha du’ mestieri
Lava le mano ar Papa e sta all’odore”
“Stare all’odore” si diceva allora dei camerieri che dovevano “assistere” il loro signore e padrone quando faceva i propri bisogni nella “seggetta”, portando poi via il pitale in essa incorporato.
Oggi la oramai (si direbbe) poco ambita carica di Sindaco di Roma, potrebbe comportare, con la complicatissima e sciagurata riforma Renzi, l’acquisizione di un titolo di Senatore (anche se senza parrucca e palandrana di seta con dorature). E col compito di “stare a certi odori” assai poco salutari del marciume amministrativo.
Ma c’è, in questa Italia renziana, un preoccupante e maleodorante ritorno all’antico, di cui questa eccezione del “tressette a perdere”, come direbbe il mio amico Andrea Granata, per una carica di Sindaco di una Roma retrocessa a retrovia folkloristico-papale, è uno dei sintomi. Spero proprio di sbagliare. Ma l’ultima sorpresa della “trovata” della candidatura della Figlia del Generale “Piduista ecclesiasticamente assistito” benché santificato dall’assassinio che ne fu fatto dalla mafia, mi ha, come si dice con brutto neologismo, proprio “scocciato”.
Mauro Mellini