Ed eccoci giunti alla parte finale di questa guida. Il viaggio sta finendo, e con esso anche le mie indicazioni fondamentali sul Giappone.
Ho detto già molto nella prima e seconda parte, in questa terza comincerò a tirare delle somme, ma una cosa la posso anticipare: il Giappone è un paese diverso, il che vuol dire strano, interessante, complicato.
E’ occidentale in un modo orientale, se capite quello che voglio dire, vi troverete più a casa vostra a Kansas City che non a Kyoto.
Tutto vi sembrerà alieno, e questo ne fa un posto fantastico per chi ha voglia di scoprire nuovi, strani mondi, e andare coraggiosamente là dove nessun uomo è mai stato finora.
In Giappone non esistono cani e gatti, nonostante al fedele amico dell’uomo abbiano dedicato una statua davanti alla metro di Shibuya per aver aspettato il padrone venti anni.
Probabilmente è l’unico cane che non è finito nelle mire di un accalappiacani (o che dio non voglia di un ristorante), perché, semplicemente, non se ne vedono.
Gli unici cani che ho visto erano microscopici (la mia conoscenza della biologia non mi consente di affermare con sicurezza che non fossero toporagni, ma sospetto fossero cani), vestiti con cappottino e pellicciotto, ed erano rigorosamente in braccio.
E’ possibile che in qualche remota provincia di Hokkaido esista un alano danese allo stato brado, ma mi perdonerete se non mi giro tutto il Giappone per andare a verificare.
Il fatto è: a Tokyo e Kyodo cani e gatti non si vedono, se non immortalati in qualche statua o souvenir.
A me non sono mancati, soprattutto non mi sono mancate le loro merde in mezzo agli spartitraffico, o la striscia di urina sulla ruota posteriore della mia macchina.
I cani in città per me non sono i benvenuti, e non averne trovati non mi è dispiaciuto. Neanche un po’.
Se la vogliamo dire tutta, non ci sono neanche mendicanti, lavavetri, venditori di calzini, bancarelle improvvisate, sbattitori di pupazzetti pakistani, e tutto quello zoo che invece nelle città italiane, Roma in testa, è fiorente.
In una settimana ho visto solo due persone dormire per terra, e di queste solo una era giapponese, l’altro era un turista sfinito dal milionesimo tempio buddista.
Quindi, se pensate di venire in Giappone, nel regno del crisantemo, e fare come Hair in Central Park ve lo potete pure dimenticare, vi buttano in galera e tirano la chiave nelle mutande di un lottatore di sumo.
Siete avvisati.
Il karaoke in Giappone è una cosa seria.
Non ho avuto il coraggio di entrare in un karaoke bar, ma mentre da noi sono di solito dei tuguri arrabattati, qua l’ingresso è come quello nel tempio di Anxur: colonne come piovesse, signorine graziosamente svestite, e tutti in abito da sera.
Sembra di stare al Bingo, con la differenza che non vogliono togliervi i soldi. Cioè sì, ma in un altro modo.
I locali di karaoke sono bellissimi, illuminatissimi, e con file mostruose per entrare.
Ma non si sente una sola nota filtrare fuori.
Ci sarà un motivo, o no!?
A proposito di gente: in Giappone sono milioni. Milioni di milioni. Non c’è un solo posto dove non ci siano tonnellate di esseri umani pronti a rovesciarvisi addosso quando scatta il verde.
Per fare una foto senza esseri umani a Fushimi Inari ho dovuto far saltare una mina antiuomo.
Se pensate che Shibuya Crossing sia un simpatico teatrino per turisti, vi sbagliate: gli attraversamenti pedonali sono TUTTI così.
E siccome in Giappone si tiene la sinistra sempre, anche quando si va a piedi, anche quando si salgono o scendono le scale, sospetto anche quando si tromba, se vi trovate dalla parte sbagliata venite travolti. Punto.
Nessuno si scansa.
Vi ammazzeranno, però vi chiederanno scusa, perché sono gentili. Implacabili ma gentili.
Ecco, la gentilezza dei giapponesi è una cosa mitica.
In oltre una settimana di permanenza, tra l’altro in due metropoli affollatissime, non ho mai, dico MAI visto nessuno incazzato, nessuno alzare la voce, nessuno dare uno scappellotto al figlio per strada, nessun ragazzino frignare, tranne uno che ho fatto cappottare io a Fushimi Inari per fare una foto, e ha pianto per tutto il tempo con il padre che componeva nervosamente il numero di Hattori Hanzo.
Nei negozi è un continuo “irasshamaise” (benvenuto), le commesse sempre sorridenti, gli addetti sempre gentilissimi.
Quando devono darti una brutta notizia (è finito il cinnamon roll da Starbucks, oppure non puoi fare foto) incrociano le braccia a X e si prostrano per scusarsi.
Dato che questo è il paese dei samurai, del harakiri e del seppuru, della katana, del karate, del kung-fu, del tora tora tora, immagino che ogni tanto si incazzino anche loro, e di brutto pure.
Però, come è giusto che sia, si incazzano quando serve, una volta ogni tanto, non come noi che stiamo sempre pronti a magnasse vivi l’uno con l’altro, che quando siamo gentili sembriamo morti, la gente se preoccupa se la pressione scende sotto i duecento.
Del cibo giapponese ho già parlato, qualcuno si è un po’ risentito (ovviamente non i giapponesi, che sono gentilissimi e se ne fottono altamente di quello che penso io e se si fossero incazzati non avrei probabilmente più le braccia per scrivere), quindi ci tornerò sopra, anche perché nel frattempo ho fatto qualche tentativo, e posso emettere una sentenza con più cognizione di causa.
Ragazzi, rassegnatevi, il cibo giapponese è una schifezza immonda.
Perché voi pensate che la cucina giapponese siano quei microscopici pezzettini di pesce crudo affogati nel riso e ricoperti di viakal che vi mangiate alle feste fighe (cit.), oppure quelle fritture di frittura (dentro non c’è niente) che vi spacciano come prelibatezze.
No, ragazzi, non scherziamo (cit.). Qua si mangiano cose terribili.
A parte la quaglia allo spiedo, che basterebbe quello per farmi rimpiangere la fettina panata di mamma tutta la vita, ma ci sono altre prelibatezze che neanche vi so descrivere.
Intanto perché non esiste un nome equivalente traducibile dal klingoniano, e poi perché certi animali neanche ce li abbiamo.
E quando pure noi ce li abbiamo, loro li combinano con incroci al limite del Frankstein.
Prendiamo per esempio i piccoli di polpo, di pochi centimetri, cotti, laccati, con dentro un uovo di quaglia.
Io mi chiedo come sia lontanamente possibile paragonare questa roba alla piadina con lo squacquerone.
Oppure le prelibatezze fritte, tipo ostrica, polpo, e altri animali molto in basso nella catena alimentare.
No dico, ma du’ supplì ve facevano schifo?
E poi i dolci.
O signore mio. Ho assaggiato due zozzerie terrificanti: una, una specie di marshmellow di polvere di te della stessa consistenza del vinavil a metà dell’essiccamento, un altro una fragola (noto frutto di stagione) appoggiato su una base di farina con dentro gomma americana masticata (così mi sembrava).
Insomma, il Giappone è un paese magnifico, ma per mangiare consiglio vivamente di buttarsi sulle catene americane che tanto disprezziamo, ma poi quando serve ci stanno sempre.
Lo so, mi farò molti nemici, ma prima di insultarmi ricordate che pure io c’avevo il numero di Hattori Hanzo.
Non posso chiudere questa guida senza un consiglio per i fotografi.
Se vi piace fare ritratti, sappiate che le donne giapponesi, soprattutto se vestite in modo tradizionale, amano farsi fotografare.
Ovviamente dovete essere gentili, sorridenti, chiedere permesso, non essere invadenti, e vedrete che porterete a casa delle foto bellissime.
Insomma, siate italiani solo per la parte bella, la parte arrogante e presuntuosa lasciatela a casa, in Giappone non serve.
Spero che queste note semiserie vi siano servite. Il Giappone è una paese strano e meraviglioso, una volta nella vita vale la pena venire.
Se non altro per controllare se ho detto stronzate.