di Agostino Spataro
Il terrorismo è un mondo così oscuro e affollato dove entrano (ed escono) in tanti.
L’invenzione del terrorismo
Che grandiosa invenzione quella del terrorismo planetario, sempre incombente!
Sicuramente, il suo inventore e/o fomentatore passerà alla storia come un genio della strategia politica al servizio della finanza d’arrembaggio che sta destrutturando il mondo a suo favore.
Inventato o foraggiato, sicuramente scelto come spietato metodo di lotta politica, il terrorismo è una realtà drammatica con la quale fare i conti, ogni giorno. Perciò, bisogna condannare la guerra e il terrorismo di qualsiasi natura e colore, anche quando agita le bandiere della lotta per l’indipendenza dei popoli.
La lotta di resistenza ripudia il ricorso alla strage di persone inermi, anche per dimostrare la sua superiorità etica rispetto all’oppressore che, addirittura, dovrà incaricarsi di redimere.
In ogni caso, deve marcare una netta distinzione fra nemici armati e civili innocenti.
Kamikaze e shahid
Il “kamikaze” (vento degli dei) è un’arma umana, potente e imprevedibile, usata abbondantemente dai giapponesi contro le forze navali Usa durante la seconda guerra mondiale.
Sulla scia di tale tragica esperienza e, soprattutto, di un’ antica vocazione al martirio gli estremisti islamici, per assicurarsi il successo delle loro azioni, usano lo “shahid”, il martire testimone imbottito di esplosivo, come autobomba dagli effetti micidiali, devastanti.
Un’arma ideologica, letale, con dentro un uomo o una donna, solitamente giovani, che fanno da detonatori. Un’arma “umana” da condannare, senza esitazioni. Tuttavia, bisognerebbe anche cercare di capire le cause, le ragioni che spingono tanti giovani a sacrificare se stessi e le loro ignare vittime.
Se e quando lo capiremo, forse potremo contribuire a disinnescarla.
Il primo esempio di uso politico organizzato del terrorismo
Nella prima metà del XII° secolo, Hassan Ibn Saba, noto come il “Vecchio della montagna”,prometteva ai suoi adepti “assassini” (assuntori di hashish), disposti a sacrificarsi per la causa ismailita, una sorta di anticipo su quanto sarebbe spettato loro nella vita eterna.
Per risultare più convincente, organizzò nei giardini della rocca di Alamut un paradiso in miniatura, ricalcando fedelmente la descrizione contenuta nel Corano.
Egli non svelò mai il segreto di tale stravaganza che contrabbandò per il vero paradiso di Allah del quale solo lui possedeva le chiavi d’accesso.
In questo luogo di delizie ai giovani “assassini”, preventivamente drogati, era concesso di godere di molti piaceri inarrivabili, negati nella vita ordinaria. Potevano, infatti, giacere con le bellissime uri (fanciulle sempre vergini) e bere acqua fresca e latte di cammella e, perfino, vino inebriante.