Diciamoci la verità, per chi ha fatto antimafia, quella vera, quella dalla quale non si trae alcun vantaggio ma solo minacce, querele o peggio, parlare oggi di mafia e antimafia e legalità è veramente difficile.
Qual è il confine entro il quale puoi usare il termine mafia? Quello dell’appartenenza all’organizzazione criminale o quello di un sistema nel quale restano coinvolte anche le istituzioni nelle persone dalle quali le stesse vengono rappresentate?
Di “zona grigia”, di pseudo antimafiosi dal passato oscuro, di beneficiati dall’esistenza della mafia, quella volgare che spara, quella dei latitanti in mezzo le pecore, tanto per capirci, ne abbiamo parlato più volte e non senza conseguenze. Ma trovarci adesso a scrivere di un’antimafia i cui sistemi non ci appaiono così diversi dai cosiddetti “metodi mafiosi”, è tutta un’altra cosa.
In che termini scriverne o parlarne? Quali i rischi? “Mafia Capitale” con le sue collusioni, con la sua sporcizia nel mondo della politica, ci ha insegnato che bisogna esser cauti. Ma come si fa ad essere cauti quando dalle indagini emergono fatti eclatanti come quelli che vedono coinvolti personaggi come il giudice Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, finita nel mirino degli inquirenti nel corso di indagini su presunte tangenti?
Grazie alle intercettazioni si scoprono le assunzioni di raccomandati nelle aziende sequestrate ai boss, gli uomini della scorta trattati come servi del giudice per compiti niente affatto istituzionali, il fastidio causato da alcuni organi stampa e i presunti tentativi di mettere a tacere qualche giornalista scomodo. Il tutto, con il coinvolgimento di alte cariche istituzionali.
Quella stessa “antimafia” che ha beneficiato, più o meno direttamente, di un sistema fatto da sequestri di beni a presunti mafiosi e relative assegnazioni o gestione degli stessi, tace o nella migliore delle ipotesi, pavidamente mormora, torce il naso. Non strilla, non urla, non s’indigna, neppure dinanzi al fatto che per molto meno un qualsiasi cittadino, avrebbe già subito serie conseguenze anche sul piano professionale.
Qui cala il silenzio. Questa non è la mafia, questa è l’antimafia! Paura? Timore di un potere che va al di là di quello volgare di uomini tutti coppola e lupara? Forse. O forse il fenomeno è più complesso, fatto di collusioni da parte di chi professa la legalità, salvo poi condurre affari e trarre profitto da un sistema che se non fosse per i ruoli di chi lo attua sarebbe veramente difficile da distinguere da quello mafioso.
Del resto il silenzio è una delle prime regole del sistema. E se l’omertà fosse reato, non ci resterebbe che l’imbarazzo della scelta sul da dove iniziare.
Con i sindacati travolti dalle parentopoli ed altri affarucci ai limiti, se non oltre, della legalità, con le associazioni trasformate in holding finanziarie che guardano al profitto senza curarsi di quell’etica e morale che spesso è solo un cavallo di battaglia utilizzato nelle pubbliche apparizioni, con i patronati che alle funzioni di assistenza e di tutela in favore dei lavoratori, dei pensionati e di tutti i cittadini, antepongono l’interesse personale dei pochi, diventa veramente difficoltoso trovare un’organizzazione, un ente, una qualsiasi figura, alla quale associare la parola “legalità”.
E se questa è la situazione all’interno dei confini della nostra nazione, non diversa, se non in peggio, è quella delle suddette organizzazioni italiani che operano all’estero.
È questo il caso di alcuni patronati, la cui gestione, nonostante le denunce presentate, ha mantenuto la singolare caratteristica dell’assoluta illegalità.
Sedi gestite con fondi personali di chi chiamato a dirigerle, documentazione contabile e bancaria lacunosa, assenza di risposte ai solleciti da parte di quanti preposti alla direzione delle sedi estere.
Né i vertici delle organizzazioni, né i consoli chiamati in causa (forse troppo impegnati a tagliar nastri e partecipare ai cocktail), si sono mai preoccupati di dare opportune informazioni idonee e rendere trasparente la gestione degli istituti che godono anche di considerevoli finanziamenti pubblici da parte dello Stato italiano il cui scopo dovrebbe essere quello di garantire agli stessi la possibilità di svolgere, nell’interesse di quanti ad essi si rivolgono, le attività di assistenza e consulenza in materia previdenziale, sociale e fiscale.
E se in Italia c’è la possibilità, quantomeno nella pubblica amministrazione, che i blitz da parte delle forze dell’ordine portino all’arresto degli impiegati “assenteisti”, all’estero può anche accadere che operatori degli istituti, si ritrovino a ricoprire, come per incanto, lo stesso incarico in sedi diverse a distanza di chilometri. Dono dell’ubiquità? Forse…
Denunciare questi fatti al competente Ispettorato del Ministero del Lavoro italiano o al Ministero degli Affari Esteri, pare avere come conseguenza soltanto l’allontanamento del denunciante.
E se cambiamo continente? Questa la lettera aperta, pubblicata dall’AISE, che Antonio Bruzzese, già consigliere del Cgie e già responsabile dell’Inca Cgil in Argentina, ha inviato al Presidente del Senato, Pietro Grasso:
“Al Presidente del Senato, Pietro Grasso e, p.c. al Comitato per le Questioni degli Italiani all’Estero
Caro Presidente, con piena fiducia in un Suo intervento a sostegno del lavoro del Comitato per le questioni degli Italiani all’estero, presieduto dal Senatore Claudio Micheloni, e in favore della legalità e della trasparenza, mi rivolgo a Lei per segnalarLe la mia preoccupazione relativamente allo stato dell’indagine in corso sull’operato dei Patronati all’estero. È un’indagine a cui io stesso, avendo lavorato per i Patronati tutta la vita, sono stato chiamato a collaborare in diverse occasioni, e nel corso della quale stanno emergendo alcune ipotesi di reato la cui gravità desta molto e comprensibile sconcerto nel mondo sindacale. È mia convinzione, e non solo mia, che solo un approccio di grande trasparenza e nel più scrupoloso rispetto della legalità possa permettere a tutti noi di affrontare in modo costruttivo i problemi e le carenze che le audizioni stanno rivelando. E sono certo che Lei, da ex magistrato di cui sono note l’alta statura morale e la lunga storia professionale, saprà capire la delicatezza della vicenda e la necessità di supportare l’opera dei senatori impegnati nell’inchiesta. Ai fini di una corretta valutazione della vicenda da parte sua, caro Presidente, e con piena fiducia nel suo sostegno, mi permetto perciò di segnalarLe quanto segue. È trascorso più di un anno dalla costituzione della Commissione da Lei autorevolmente sostenuta e presieduta dal Senatore Micheloni. Diverse le missioni compiute, numerose le audizioni promosse, confronti e documenti acquisiti che rappresentano un quadro significativo del problema, in particolare dei Patronati all’estero. Osservo da qualche tempo un silenzio preoccupante, accanto ad azioni del Ministero Lavoro che oscillano tra silenzi e atti del tutto inutili quando non dannosi. Gli altri soggetti, con le dovute eccezioni, in particolare Sindacati e Patronati, raccontano storielle che, come si dice al mio paese, “la sanno lunga ma non la sanno raccontare”. La politica non si è mai occupata di Sindacati, Patronati e Associazioni, salvo poi operare con azioni da carota e bastone a soli fini di scambio per il consenso, a volte necessario. Personalmente, il 23 febbraio u. s. sono stato ascoltato presso l’Ambasciata d’Italia a Buenos Aires per oltre un’ora, accettando la registrazione del colloquio con i membri della Commissione in indirizzo e la presenza della Signora Castaldo, Ambasciatore d’Italia. Subito dopo ho partecipato all’incontro con tutti gli altri patronati, intervenendo nuovamente. In termini generali ne è scaturito un quadro molto preoccupante. A domande precise del Presidente On.le Micheloni ho risposto puntualmente. Successivamente, su richiesta della Commissione, ho fornito, per iscritto, ulteriori chiarimenti. Qui di seguito alcune annotazioni riassuntive. Due sono le grandi questioni: – la prima richiama la necessità di una forte e urgente moralizzazione del sistema Patronati. Quindi regole, controlli e sanzioni. Il sistema è fuori controllo, in particolare dopo il voto all’estero del 2006; – la seconda questione deve fare i conti con le trasformazioni epocali in fatto di Immigrazione e Emigrazione Italiana.
QUESTIONE DELLA MORALIZZAZIONE
Non capisco come si possa giustificare un’emigrazione italiana che richiede sempre meno servizi di Patronato – liquidazione di pensioni in convenzione internazionale – e la crescita continua di sedi di patronato che presentano un punteggio scandaloso che va ormai oltre i 700.000 punti solo per l’estero. È evidente che, in particolare in paesi quali Argentina, Svizzera, Germania, Canada ci sono sedi e punti inventati sui quali si conteggia il finanziamento. I conti non tornano. In questo contesto è grave che ci siano solleciti alle sedi estere da alcune sedi “romane” a riempire cartelle vuote o a statisticare due volte la stessa pratica, una volta in Italia ed una all’estero. Le pratiche locali non dovrebbero essere più statisticabili. Ricordo che in Argentina il 92% degli italiani non è nato in Italia. Finanziare il servizio di patronato per una pensione locale è un errore che alimenta vari abusi. Il contribuente italiano non può farsi carico di questo servizio e di questa spesa. Peggio che mai per le pratiche di pensioni integrative private – Canada, Usa, Australia, Germania, Svizzera, Belgio, Francia……….perché non far pagare questo servizio? L’attività di patronato all’estero viene svolta da associazioni di diritto locale in convenzione con le Centrali romane. Quando tutto va bene i meriti sono del Centro, diversamente – vedi il caso della Svizzera – si chiude bottega all’estero, non si paga nessuno e si riapre la stessa identica attività, tuttavia con un altro nome, esattamente come fanno alcuni commercianti. La proliferazione di sedi di patronato è inversamente proporzionale al numero di potenziali utenti, mentre il MAECI prosegue nella chiusura di strutture consolari, riferimento per migliaia di connazionali emigrati. L’idea avanzata in ambiti sindacali di far svolgere l’attività consolare ai Patronati è a dir poco stravagante. Il personale dei Patronati non ha la competenza per farlo. Il controllo è impossibile. A Cordoba, nonostante vi siano solo 800 pensionati, abbiamo 10 patronati, in Germania nella sola area di Francoforte ben 17 uffici di Patronato e uno consolare, mentre a Friburgo ve ne sono 13 e ancora uno consolare. La gestione indiretta equivale a una licenza che autorizza i propri comodi. Ma chi prende i soldi? In generale trattasi di un “robo” (furto in spagnolo), voce del verbo rubare. Sarebbe utile sapere quante pensioni l’Inps liquida in Convenzione Internazionale, e incrociare i dati con il Ministero del Lavoro. Purtroppo anche l’Inps contribuisce a questa situazione facendo la parte del distratto. Noto un contenzioso in aumento con il personale dei Patronati in vari Paesi. I casi di mobbing, nel Patronato e nel sindacato, superano probabilmente quelli delle imprese. È tuttora in essere un forte contenzioso legale contro l’Inps, promosso all’infuori dei Patronati, con procura a studi legali italiani che danno avvio a cause anche per poco. E l’Inps cosa fa? Perché soccombe nella maggior parte dei casi a questo enorme contenzioso? Ci sono responsabilità da parte dell’Istituto? Si tratta di ex? Se è vero che il 75% del contenzioso estero non passa tramite i Patronati… In tutto questo, il grande assente è il controllore, ovvero il Ministero del Lavoro. Le ispezioni sono passeggiate all’estero con tanto di accompagnamento da parte di carabinieri. Vi sono sempre annunci preventivi. Il sottosegretario Bobba ha annunciato con grande anticipo un’ispezione nella delicata situazione della Germania. Un grave errore. Le ispezioni sono state effettuate per l’anno 2013 e così la doppia statisticazione, effettuata nel 2014, non ha potuto essere rilevata. La direttiva è chiara: carica punti. Se viene l’ispezione, li cancelli, se non viene è andata bene e mantieni il malloppo. Infine un riferimento a quanto ascoltato in alcune audizioni. Colpisce, in particolare, l’affermazione secondo cui gli Enti promotori impiegherebbero proprie risorse economiche per l’attività di patronato all’estero. Un coraggio da leoni! A quando un controllo dei bilanci nazionali? A chi il compito? Alla Guardia di Finanza, alla Corte dei Conti? Potere tanto, ma responsabilità zero.
SECONDA QUESTIONE
Si tratta ora di riformare la legge 152 o superarla e pensare a soluzioni innovative? L’idea di cancellare il patronato è sbagliata. Esso ha rappresentato un pezzo di Welfare importante per gli Italiani in Patria e all’estero. Da anni il quadro è cambiato. L’emigrazione di massa, subito dopo la seconda guerra mondiale, trasmette i suoi effetti in maniera residuale. Tuttavia già nel 2001, presso l’Istituto Italiano di Cultura a Buenos Aires, fui relatore di un convegno “Il futuro del patronato – Il patronato del futuro”. Già allora si avvertiva la necessità di un cambiamento. La mission del Patronato è venuta meno con i forti cambiamenti sociali. Oggi registriamo 5 milioni di immigrati, 6 milioni tra disoccupati e precari, 5 milioni di poveri, 7 milioni di pensionati con meno di 700 Euro al mese. In questo contesto osserviamo un’intera generazione perduta, senza futuro e tutele. L’emigrazione Italiana tradizionale non esiste. Assistiamo a una mobilità di migliaia di giovani – si recano in più paesi e per periodi brevi – accanto a migliaia di lavoratori al seguito di imprese, ricercatori, professionisti, studenti. Chi segue i loro problemi, chi li aiuta per lavoro, casa, chi tutela i loro diritti. Occorrono strumenti e presenze nuove. Una sorta di segretariato sociale nel territorio: ciò vale per la nuova e complessa emigrazione cosi’ come per l’enorme presenza degli immigrati in Italia. Penso che sia utile immaginare servizi gratuiti solo per determinate fasce di reddito. Oltre detti limiti, i servizi vanno pagati. Un mix di pubblico e privato. Occorre sostituire un patronato glorioso ma vecchio. Tutto gratis, mi ricorda un’affermazione di Bruno Trentin in un comitato direttivo della CGIL, “Il Patronato è l’ultimo residuo del socialismo reale”. Caro Presidente, penso che sia opportuno avere una conclusione della questione trattata dal Comitato o, quanto meno, sapere come procedere in futuro. In attesa di un Sua cortese risposta in ordine ai problemi da me elencati nella presente missiva, La ringrazio anticipatamente”.
Se quella descritta è la realtà, come possiamo continuare a parlare di legalità?
gj