La devastazione vandalica (così dovremmo definire il preteso riformismo di Renzi) cui la Costituzione della Repubblica viene sottoposta non può far dimenticare ciò che, in realtà, la retorica politica dominante è riuscita per decenni a tener coperto: che essa è tutt’altro che “la più bella Costituzione del mondo”, cosa che solo un attore comico d’alto bordo può affermare con tanta disinvoltura.
Purtroppo la devastazione di Renzi (come già quella Berlusconi-Bossi) si è abbattuta a casaccio, su istituti (il Senato recalcitrante, che al momento avevano dato fastidio al “monocratismo” dell’ex boy-scout.) Ben altre istituzioni rappresentano il cancro dell’apparato istituzionale della Repubblica. E, guarda caso, di questa invasiva e mortale patologia né Renzi né alcun altro sembra voler parlare.
Il dato più fortemente e manifestamente diverso della Costituzione Repubblicana del 1948 rispetto allo Statuto Sabaudo di un secolo prima era ed è l’Ordinamento Regionale, accentuato dall’esistenza di Regioni a Statuto Speciale. Regioni che non rappresentano solo organismi di decentramento amministrativo, ma che hanno anche potere di produzione legislativa.
La scelta “regionale” fu determinata alla Costituente, dalla vecchia tendenza diffidente verso l’Unità dei Cattolici, peraltro “filtrata”, invece che attraverso l’antistatalismo di Sturzo, con il corporativismo statalista dei “giovani” D.C. (Fanfani etc.).
Ma un intendimento più immediato e strumentale ebbe un’importanza determinante: la frantumazione del potere tra le istituzioni (cosa ben diversa ed opposta all’”equilibrio” dei poteri) considerata misura prudenziale contro incombenti pericoli di colpi di maggioranza da parte del Partito Comunista.
Lo stesso criterio che aveva suggerito il “bicameralismo perfetto”. Ce ne parlava esplicitamente Gaspare Ambrosini, Costituente e membro della Commissione dei Settantacinque che stese il progetto della Carta Costituzionale, professore di diritto Costituzionale alla Sapienza.
Contro l’istituzione delle Regioni si schierarono i Liberali, Einaudi, Croce ed anche La Malfa (ex “azionista” e non ancora repubblicano).
Se il “bicameralismo perfetto” ha appesantito la vita politico-istituzionale, mentre la differenziazione delle funzioni dei due Rami del Parlamento avrebbe potuto fornire un’ottima occasione per un miglior funzionamento non solo del potere legislativo, ma anche (ed ancor più) di quello di indirizzo e di controllo, il sistema regionale, che nessuno ha più osato metter in discussione, ha fallito tutti gli obiettivi sbandierati dai suoi sostenitori. Ha complicato e gonfiato, contribuendo decisamente alla sua patologica elefantiasi e conseguente “ingovernabilità”, l’ordinamento giuridico. La maggior parte delle leggi regionali sono servite e servono a fornire “scappatoie” per gli interessi meno commendevoli. L’apparato burocratico ne è risultato ingigantito e complicato, con incrementi delle condizioni per il dilagare della corruzione. Nelle regioni a Statuto Speciale (basti pensare alla Sicilia) queste patologie sono divenute mostruose, gli sprechi inconcepibili.
Il sistema della “finanza derivata” (dipendenza dall’apparato statale e dalle sue erogazioni delle finanze locali) ha, invece che limitate queste sciagure, ulteriormente aggravato il loro peso e l’inestricabile complicazione di ogni problema pubblico.
Di abolire le regioni non parla nessuno. Mi risulta che una proposta simile, espressione più di indignazione che di meditazioni, l’ha fatta solo Pierangelo Buttafuoco, il “Fogliante” d’Estrema Destra e Musulmano.
Oggi una proposta del genere attirerebbe fulmini e saette del pullulare di parassiti del regionalismo. Ma se a Renzi non è mai balenata in testa una simile “rottamazione”, non è solo per il timore delle reazioni dei “danneggiati”.
In fondo le regioni fanno parte dell’apparato istituzionale in cui si traduce la fondamentale tendenza all’equivoco che caratterizza la storia dell’ultimo secolo nel nostro Paese (ne riparleremo ancora) di cui Renzi stesso e quel curioso “coso” che è il Partito Democratico, sono le più genuine espressioni.
E poi le cose più inutili sono quelle che questi pseudoriformatori si guardano bene da ricordare che esistono. L’istituzione più balorda ed inutile prevista dalla nostra Costituzione, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (una specie di reliquario del corporativismo fascista sbianchettato dalla D.C.) è oggi quello che sembra che proprio nulla ha da temere per la sua esistenza. E’ un gerontocomio di ex sindacalisti e funzionari Confederali in una bellissima sede in una palazzina a Villa Borghese. Nemmeno tanto nascosta da giustificate l’oblio dei “riformatori da operetta”. Così è l’Italia.
Mauro Mellini