Fino a ieri chiunque avesse osato affermare che la “mafia è finita” sarebbe stato additato come responsabile di voler “abbassare la guardia”, più o meno un “favoreggiatore”, un “concorrente esterno della mafia”. In realtà c’era stata un’epoca ed una categoria di persone che (parlo degli anni ’50-’60 del secolo scorso) si sentivano in dovere di definire la mafia “una cosa che non c’è”, salvo poi, magari, a dare per scontato che “tutti i siciliani sono mafiosi” ed a divertirsi con le barzellette create su questo presupposto. Poi l’Antimafia ha demonizzato ogni dubbio sulla vitalità della mafia, magari facendo un po’ di non casuale confusione tra le diverse accezioni di questo termine.
E’ quindi con curiosità, se non con meraviglia, che leggo oggi, nientemeno che sull’organo ufficioso della Procura di Palermo (definizione di Ingroia) nonché organo ufficiale di una delle confraternite dell’”Antimafia devozionale” più oltranzista, “Antimafia 2000” di Bongiovanni, Guru interplanetario in stretto contatto (tramite gli extraterrestri, con Gesù, la Madonna, l’Anticristo etc.), un articolo di Nicola Biondo, con tanto di “introduzione” dello stesso Guru interplanetario, Giorgio Bongiovanni.
L’articolo è in forma di “lettera aperta” a Matteo Messina Denaro, in cui lo si informa “che è morto”. E’ morto non Biondo, ma il destinatario della lettera, il boss latitante da anni, il Capo (uno dei tanti definiti tali) della mafia.
Una lettera che dovrebbe essere, anzitutto, di sfida, anche se sfidare un uomo morto ne fa un gesto un po’, come dire, maramaldesco.
Diciamo subito che questo signor Nicola Biondo sarà un signor nessuno, ma non deve essere un nessuno che non conta niente e ciò non perché scrive sull’asserito “organo ufficioso della Procura di Palermo etc. etc.”, ma per aver avuto diversi incarichi e per rivestire attualmente il ruolo e le funzione di “coordinatore della comunicazione” del Movimento 5 Stelle e, aggiungiamo noi, data la sede in cui scrive, magari pure portavoce degli extraterrestri. Antimafia D.O.C.
La lettera, e più ancora l’autorevole introduzione dell’interplanetario Guru-direttore, a parte il carattere guascon-maramaldesco della sfida al boss “già morto” è assai interessante perché è un condensato del “pensiero antimafia” in questa fase critica.
Vediamo intanto l’annuncio che questo sig. Biondo (coordinatore etc. etc.) e del sovrastante Guru portavoce della Procura di Palermo fa a Messina Denaro “di essere morto”. Così una volta parlavano i mafiosi (…quello è un morto che cammina…) per annunciare le loro “condanne” o alludere ad esse. Morto sarebbe il boss trapanese (e dei dintorni) perché ha perso tutto il suo potere e perché i “sistemi criminali” che avevano tenuto in vita la sua “imprendibilità”, così hanno deciso a seguito di “un accordo tra Stato e Mafia che nulla ha a che vedere con il duro lavoro degli investigatori che onestamente gli danno la caccia”. Onestamente ma da babbei, perché i suddetti signori Bongiovanni e Biondi ci assicuranoche il “duro lavoro” degli onesti etc. etc. è assolutamente inutile e sprecato: i “sistemi criminali” (cioè i depositari dei poteri occulti ma noti agli alieni ispirati del Guru) non hanno permesso che finora Messina Denaro fosse catturato e che invece ora lo faranno catturare. Onesti e lavoratori, questi investigatori, ma fessi.
Ma forse più interessante di questo solito riferimento all’onnipotenza del “sistema criminale” oggetto di fede assoluta di tutti gli Antimafiosi di professione (ne fece una bellissima professione espositiva qualche tempo fa il Magistrato calabrese “antimafia”, Lombardo) sono le parole sfuggite sulle modalità con cui il boss, una volta onnipotente, è stato ridotto ad un povero braccato: “con metodi non ortodossi”.
Antimafiosi D.O.C. come quelli di “Antimafia 2000” hanno idee circa l’”ortodossia” dei metodi di “lotta” alla mafia che fanno sì che questa, che altrimenti sarebbe una gravissima accusa, non sia per loro che una attenuante della “fesseria” attribuita alle Forze dell’Ordine, che recitano la sceneggiata della caccia a Messina Denaro, in realtà gestita dal “sistema criminale”, che ora ha deciso che deve essere catturato.
Sorvolo certe espressioni: Messina Denaro sarà gettato “a marcire al 41 bis”, ammissione di un regime carcerario “inumano e degradante” che persone sospette di garantismo non si potrebbero permettere senza essere additate come “concorrenti esterni”, “trattativisti” etc. etc.
E ciò benché proprio ad un inumano ed insopportabile trattamento si sia di fronte lo hanno ammesso tutti i parlamentari che ne hanno votato le numerose “proroghe”, affermando che tale quel trattamento deve essere per non lasciare altra scelta che quella del “pentitismo” e delle “collaborazioni” a chi vi è sottoposto.
E così arriviamo “al dunque”.
Biondo addita al boss, oramai ex, una “terza ipotesi”. Non si capisce bene quali siano le altre due. Ma la terza via è quella della “collaborazione”: “non ti pentiresti mai, ma potresti parlare, raccontare mille cose: chi hai protetto, chi ai aiutato”. E Biondo prosegue nei suggerimenti al boss, che gli permetterebbero di “resuscitare”.
Eco un caso di “pentimento anticipatamente pianificato”. Un bel progresso della tecnica del pentitificio. E fa ridere quell’inciso che Biondo mette lì, quasi a voler dar parvenza di serietà alla “collaborazione” suggerita: “certo rischierai di non essere creduto”.
Ah! A h! Ah! Ma dove mai un pentito non è creduto? Solo se è un babbeo e non capisce di dover attaccare l’asino dove vuole il padrone.
Ma almeno questo credo dovrebbe essere risparmiato al Superboss: ritenerlo un babbeo.
Se decidesse di “pentirsi” (ma questo fare i progetti sulla pelle dell’orso ancora da abbattere dovrebbe essere evitato almeno per scaramanzia), non sarà il credito di P.M., magistrati vari e pedissequi giornalisti che mancherà alle rivelazioni di cotanto personaggio.
Che come pentito sarà abile come da ricercato.
Un po’ di pazienza comunque, signori di “Antimafia 2000”. Se “l’ora della morte targata 41bis” (altro bell’esempio di truculenta impudenza verbale) è vicina, non abbiate tanta fretta. Non fate ridere la gente. C’è poco da ridere.
Mauro Mellini