Il primo a comprendere la pericolosità dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria è stato il leader di al-Qaeda dopo il rifiuto da parte dell’ISIS di limitare le proprie attività in Iraq.
Dopo l’espulsione dal più grande gruppo fondamentalista che per anni è stato rappresentato dal “re del terrore” (Bin Laden), l’ISIS ha proseguito la sua battaglia alla ricerca di un Califfato, riuscendo a conquistare un territorio dietro l’altro forte di un sempre maggiore consenso da parte di molti giovani jihadisti che da più parti del mondo – in prevalenza dagli Stati arabi e dall’Europa – vanno ad ingrossare le fila di un movimento che grazie alle sue azioni sul campo, alla sua brutalità e al fanatismo religioso dei suoi adepti che fondano il proprio credo sulla più rigida interpretazione dell’Islam, punta a togliere ad al-Qaeda la leadership del movimento jihadista globale.
Se parte dei leader di altri movimenti sono rimasti fedeli ad al-Qaeda e all’attuale leader (Ayman al-Zawahiri), facendo appello ai giovani affinchè non si facciano irretire dall’ISIS, non v’è dubbio che le vittorie ottenute dallo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria hanno risvegliato nella giovane generazione di jihadisti il sogno di un unico grande stato islamico.
L’accusa mossa da queste giovani generazioni ad al-Qaeda e al leader al-Zawahiri sono quelle dell’immobilismo che regna nel più grande movimento fondamentalista che da anni non porta a termine nessun attacco di rilievo in risposta a quelle che vengono ritenute le aggressioni occidentali al mondo musulmano.
Dopo il fallito tentativo di qualche giorno fa da parte di al-Zawahiri che invitava tutti i musulmani ad unirsi e non impegnarsi in guerre fratricide e che, seppur non facendo riferimenti diretti all’ISIS, apriva ad una possibilità di compromesso, l’esodo da parte di combattenti appartenenti a consociate di al-Qaeda in direzione dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria ha sancito la perdita della leadership di al-Qaeda in diverse di quelle che fino a poco tempo fa erano ritenute le sue roccaforti.
La guerra condotta dagli americani contro al-Qaeda, se da un lato ha prodotto il quasi annientamento della più grande organizzazione terroristica al mondo, dall’altro ha permesso la crescita del più spietato e brutale movimento che oggi sembra non dover conoscere ostacoli nella sua folle corsa.
E se Obama dal canto suo annuncia una guerra contro lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (una dichiarazione di guerra contestata dal senatore americano Tim Kaine che ha ribadito come sia compito del Congresso e non del Presidente il poter dichiarare una guerra), dall’altro la semplice prospettiva di una guerra condotta contro l’ISIS ha portato anche alcune affiliate di al-Qaeda (come nel caso della neo-nata AQIS) ad assumerne la difesa accusando gli Stati Uniti di voler attaccare l’Islam.
Quello che non sono riusciti a fare i leader dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria e quello di al-Qaeda, ovvero la creazione di un fronte comune, sembra sia perfettamente riuscito ad Obama con una semplice dichiarazione.
Proprio dalla ricerca di un consenso internazionale che porti ad una coalizione formata anche da stati arabi per combattere l’ISIS, nasce uno dei più accesi dibattiti sulla presunta apostasia degli alleati del presidente americano.
Secondo alcuni predicatori fondamentalisti, l’aiutare i miscredenti contro un paese islamico comporta di per sé l’accusa di apostasia. Nei confronti di costoro (leader musulmani di paesi che potrebbero prendere parte alla coalizione voluta da Obama), sarebbe obbligatorio applicare le regole previste dal Corano. Tra gli esempi più citati che comproverebbero l’apostasia da parte di questi leader, le parole dello Sceicco Ibn Baz (Al-Fatawa 1/274): “C’è un consenso tra gli studiosi che chi sostiene i miscredenti contro i credenti e li assiste con qualsiasi mezzo, è un miscredente come loro…”, parole alle quali fanno seguito i riferimenti storico-religiosi secondo cui chiunque “porti le armi contro” un musulmano non è un musulmano, così come non lo è colui che inganna un musulmano.
E mentre c’è chi auspica la morte di Obama e la distruzione dei suoi alleati, da parte del mondo musulmano più moderato nascono perplessità e paure: Se lo Stato Islamico dell’Iraq e della Siria non venisse attaccato dal mondo musulmano; quale sarà il rapporto dell’ISIS con altri paesi musulmani della regione come l’Arabia Saudita, l’Iran e la Turchia? L’ISIS saprà vivere in pace o mirerà all’espansione dei propri confini anche in questi altri paesi musulmani?
L’interpretazione dell’Islam da parte dell’ISIS spingerebbe alla creazione di un Califfato del terrore pronto a colpire tanto i miscredenti (ebrei, cristiani, atei ecc) quanto quei musulmani che non condividono interpretazioni tanto rigide, così come dimostra la lotta che l’ISIS conduce in Siria anche contro le forze ribelli che, seppur composte da musulmani, hanno una visione più moderata dei dettami islamici.
Una vittoria dell’ISIS in tal senso, si tradurrebbe in una guerra religiosa che finirebbe con il coinvolgere i paesi occidentali costretti a combattere la guerra in casa propria. Da qui il dilemma sulle scelte delle prossime ore che vedranno Obama costretto ad affrontare la questione: la guerra, aspettare una sconfitta dell’ISIS a causa della perdita di consenso interno o sperare in una mossa a sorpresa di al-Zawahiri?
Gian J. Morici