Francesca prepara le bomboniere. Ha delle mani affusolate, un profilo delicato. E’ già una sposa, lo si vede dalla sua quiete, dalla precisione con cui annoda quei nastri. Hanno tutte un pallore queste spose promesse, a pochi giorni dal matrimonio. Una pelle limpida, una dolcezza. La guardo e ho paura. Da sempre ne ho, davvero, da quando me l’hanno depositata tra le braccia e non sapevo che farne di lei, tranne sorriderle. Ora vedo in lei un conformismo che non ho avuto, qualcosa di antico. Io ho sposato tardi, senza velo, con un bel vestito bianco e una gardenia. I capelli cortissimi, in un mese malinconico come Settembre. Lei ha scelto la fine di Luglio, il caldo tormentoso, il velo che le copre il viso, la casa con le tendine. Qui tende non ce ne sono mai state, e neppure ricami. Non avevo un corredo e lei da piccola mi ha tormentato con questo corredo, questa ottocentesca donna bionda, esile, alta, assennata, casalinga. Non le ho insegnato niente, viaggiava da sola, sembrava sapere già tutto, non domandava, ti scrutava in silenzio e già aveva capito l’aria che tirava. Era una bambina a bassa manutenzione, e infatti mi sono ritrovata questa sconosciuta dama dalle mani d’oro. Me l’avranno scambiata all’ospedale? Impossibile, non l’ho mai persa d’occhio. Aveva un suo segno particolare e ogni volta lo controllavo: sei veramente tu? fatti guardare figlia mia, non ti devo perdere. E mi chiedevo se tale ansiosa intensità di sguardi non passasse per caso anche tra la gatta e i suoi figli. Ma credo di si. Poi i lineamenti si sono stabilizzati, lei era quella persona lì, voleva i vestiti con i merletti, le scarpette baby lucide, i capelli lunghi. Io ero la spartana lei l’ateniese, me lo disse sotto studio del sussidiario di storia, un bel pomeriggio d’inverno che mi stringevo dentro un maglione bucato ma caldo caldo.
Prepara le bomboniere, io conto i confetti e glieli passo. Ha una bella treccia che le parte dalle tempie, l’abito da sposa già l’hanno consegnato. A me viene da piangere, ho un peso sul cuore, ho paura che sarà delusa, e lo sarà, non mi sbaglio. Ha condotto il suo menage con Claudio secondo i suoi canoni estetici, lo ha abbagliato, lo ha convinto. Ha sedotto quell’uomo che però la ridimensionerà. Svegliarsi insieme non è come darsi appuntamento al pomeriggio. Sono stata delusa io che pure non mi aspettavo niente, figuriamoci lei, che veleggia di oggetto in oggetto. Come sei fatua figlia mia, penso, sei la donna che non ho mai sopportato, eppure te ti amo perché so che sei innocente, hai questa testa fresca, questo piede leggero. E’ qui, guarda, la tua sostanza, questa dolcezza attenta che si è meritata il nostro rispetto. Non so se tuo marito ce la farà, verrà il momento di turbare la tua fronte immacolata, verrà il momento della rabbia e del disinganno, della frustrazione, come farà senza rete, come farà di fronte a te, al tuo ordine immacolato, ai tuoi occhi celesti senza ombra. Avrà compreso che altro non può chiederti? Che dovrà vedersela da sé ed è meglio per lui se non farà pasticci con la vostra vita.
-Vedi?- e mi sorridi. Sei felice? E che ne so, mi sei sempre sembrata felice, forse mentivi? Non credo. Abbiamo litigato una sola volta, e anche lì non ti ho sentita bene, dicevi qualcosa, ma poi hai ritrattato. Eppure credo che tu mi chiedessi ragione di un certo disprezzo che secondo te io covavo. Può darsi sai, non hai avuto la madre giusta tu, e tutti i tuoi ricami e delicatezze mi ferivano nell’orgoglio. No, non sei la figlia scema che mi hai sbattuto in faccia un pomeriggio di lacrime. Riconosco amore mio di essere una donna ostica e arida, con un rigore pestilenziale. Tu non sei scema, sei in gamba, sei riuscita a non farti cambiare. Ora ti alzi e vai con il tuo passo sognante verso l’armadio. Lo apri e scruti con serietà l’involto che custodisce l’anima bianca della sposa, il velo dell’attesa. Io ti ho invidiata, questo è vero. Ammiro la tua bontà senza macchie, la sicurezza della tua femminilità, la tua così evidente al cospetto della mia così ruvida e incerta. Mentre tu andrai flessuosa verso l’altare credo che alla mente mi ritornerà il senso di vittoria che si era impossessato di me nel momento in cui ti portavo via dall’ospedale, noi due con i cuori accanto, i tuoi begli occhi celestiali fissi sul mio volto.
Per non perdermi.