Al mattino tutto regolare. La temperatura era calata nelle ultime settimane, forse un inverno così freddo e lungo Carla non se lo ricordava. Valerio era uscito come al solito per andare a scuola in motorino, e suo marito era appena tornato. Avrebbero aspettato il figlio e pranzato tutti insieme. Preparava una minestra ed era inquieta. Lo era da giorni, ma forse la sua età lo imponeva, l’inizio di qualche cambiamento, un leggero declino. Ogni tanto si guardava intorno, posava lo sguardo sul tavolo, o sui pensili della cucina, da tempo le sembrava tutto estraneo, poco rassicurante. Questo era cominciato uno o due anni fa, non sapeva con precisione. O forse si.
Suo marito parlava dall’altra stanza, riferiva di una visita medica, dell’operazione che avrebbe dovuto affrontare. Disse che era stanco, e che ora è, c’è tempo perché torni Valerio. Poi aveva taciuto, sicuramente aveva riflettuto brevemente sulla nozione di tempo, di quanto era cambiata per lui negli ultimi anni. Era tutto mutato rapidamente, in realtà, e non se ne erano accorti subito. La vita gli stava dando il fiatone, disse. Rideva. Non sentì il campanello, non subito almeno. Sua moglie parlava. Si infilò rapidamente la giacca da casa. Carla apriva la porta e faceva entrare qualcuno.
-Chi è Carla?-
Sua moglie rispondeva con una voce soffocata. C’erano con lei tre ombre, due lo immobilizzarono. Le voci giovani, le facce nascoste dai passamontagna. Li minacciavano con una pistola. Furono trascinati in camera da letto. Carla avrebbe voluto tornare indietro, essere rimasta in cucina, non aver mai impugnato la maniglia della porta d’ingresso. Uno rimase con loro. Parlava a tratti, li puntava con una grande pistola, ma Carla non gli badava. Guardava il bianco della coperta su cui le avevano premuto il viso. Il marito era furibondo, sudava, in quel freddo, in quell’inverno. Non aveva un orologio da controllare, e il tempo le rintoccava nel petto. Il tempo non si fermava. Di là stavano rovistando, e l’altro continuava a dire : Non vi preoccupate.
Coetanei di suo figlio, sicuramente. Non poteva gridare, non poteva parlare. Così in trappola non le riusciva di ragionare. Seguiva con il pensiero la traiettoria del motorino di suo figlio, l‘asfalto bagnato, i semafori che si susseguivano, e sperava che gli capitasse un incidente, una caduta, una lieve caduta, una gamba spezzata, si, val bene la vita una gamba spezzata. Volevano solo parlargli, dicevano. Si contorceva appena il ragazzo si distraeva un attimo, ma lui la puntava di nuovo, prontamente. La mano tremava, la voce gli tremava: State buoni, state buoni.
E l’ora arriva. L’ora arriva sai? Si diceva Carla, anche se ci metti le porte di ferro davanti, l’ora si smaterializza e si materializza al di là della porta di ferro. Figurarsi al di là della loro porta che con un calcio si spalanca. Valerio apre la porta di casa, o suona il campanello, o la porta era aperta e lui entra con sospetto, dio d’un dio Valerio entra.
Lei ha le mani legate, i piedi legati, la bocca sigillata, e non sa se chiudere gli occhi, se aprire gli occhi. Suo marito è legato, ha gli occhi aperti e non respira. Nessuno si dimena più.
Si fa il finimondo in sala da pranzo, si schiantano vetri, tutto si sgretola. C’è lo sparo.
Ma non è uno sparo. Non è il tuono? Tra qualche minuto piove. E’ febbraio.
Corrono, corrono via, non una parola fuori posto, neppure mormorano, vanno via, lasciano in terra una pistola. Non è neppure silenzio, ma un lamento. Valerio la chiama. Si rotolano giù dal letto, si fanno male. Come si muove un verme, come si muove un bruco, come si muove un povero cristo senza arti, che ha un buco nero al posto del cuore. Ora.
Hanno bussato alla porta, ho aperto, ci faccia entrare per favore. Non sapevo niente, non frugo nella stanza di mio figlio. Dovevo farlo, dovevo farlo? Il pavimento è lucido, è freddo. Avete sentito, vero? Era un tuono, di questo febbraio freddo, ma soffocato, un lampo maligno. Valerio tornava da scuola, io preparavo il pranzo, mio marito, sento il suo affanno mentre conquista centimetri di pavimento, mio marito non avrebbe aperto la porta, forse lui non l’avrebbe aperta. Da terra si vedono cose diverse, il nero della polvere che gli anni hanno spinto verso gli angoli, involontarie trascuratezze, lontananze visive. Come è possibile, come è stato possibile, non c’era che la presenza di questo corpo giovane, di queste sue parole, e richiami. Aiutami. Ha ancora gli occhi aperti. Qualcuno entra e li raccoglie da terra, li libera, non senza difficoltà, ma Carla ha lo sguardo rivolto ostinatamente verso Valerio, per cogliere tutto, per cercarvi una risposta. Ma non la sa già la risposta? Questo suo mondo quieto, preciso, caldo. Averlo lasciato vivere, avergli permesso di diventare un uomo, non aver interferito. Aiutami. Poi aveva aperto la porta, e va bene, sono stanchi, aspettano qui e non in strada. Febbraio è freddo. Ha un fazzoletto, cerca di pulirgli il viso. Lui chiude gli occhi. Le sembra ci sia tanta confusione, fuori, e nei giorni seguenti, ci sarà. C’è uno spazio, dentro, un covo di luce solitaria, dentro, un’isola. Valerio lo copre bene con la coperta della lettiga. Segue i portantini.
Fuori è freddo. Febbraio 1980.