Una massiccia caccia all’uomo è in corso da stamattina a Boston e nella periferia della città dopo che uno dei sospettati per l’attentato alla maratona di Boston è morto in uno scontro a fuoco con la polizia. Il secondo complice, fratello dell’ucciso nel corso del conflitto con le forze dell’ordine, è un 19enne che uno studente del liceo di Cambridge, in Massachusetts, avrebbe riconosciuto come suo compagno di scuola.
I due, fratelli ceceni di 19 e 26 anni, avevano ricevuto addestramento militare all’estero ed erano negli Usa da circa un anno.
Secondo funzionari del Dipartimento di Stato, la famiglia sarebbe arrivata negli Stati Uniti legalmente.
Dzhokhar Tsarnaev, fratello di Tamerlan il 26enne ucciso nella sparatoria nel campus del Mit, si troverebbe nella zona di Watertown asserragliato in una casa che è stata immediatamente circondata dale squadre speciali della polizia e dell’Fbi, che temono di non riuscire a prenderlo vivo.
Boston, Watertown e molti altri borghi, stamani sembravano città in stato d’assedio. Mezzi pubblici fermi, scuole e imprese chiuse e abitanti asserragliati in casa dopo che era stato loro ordinato di non uscire. in uno stato senza precedenti di lockdown il Venerdì, con transito di massa annullato, le scuole e le imprese chiuse e residenti ordinato di rimanere in casa.
Le forze dell’ordine sospettano infatti che Dzhokhar Tsarnaev si possa essere imbottito di esplosivi e si stanno dunque prendendo tutte le precauzioni possibili per evitare ulteriori perdite di vite umane.
Mentre si cerca di catturare il secondo presunto attentatore della maratona di Boston, immortalato in una fotografia che lo ritrae alle spalle del piccolo Martin, la più giovane delle tre vittime dell’attentato di sabato scorso, ci si comincia ad interrogare sulla provenienza dei dinamitardi e sulle possibili motivazioni che li avrebbero indotti a compiere l’attentato.
Cominciamo dal perché. C’è chi sostiene che, qualora fossero ceceni, le ragioni di rancore sarebbero da ricercare nel fatto che la Cecenia, repubblica secessionista a maggioranza islamica, è in guerra da molti anni con la Russia e i ceceni si ritengono abbandonati dall’Occidente e i particolare dagli Stati Uniti.
Una teoria che potrebbe apparire fondata, se non si fosse parlato di addestramento militare all’estero dei due uomini. L’area di provenienza e l’addestramento militare, ricordano troppo da vicino quello che da decenni accade nei Balcani.
Sarà stato un caso, una fortuita circostanza, se fin dall’inizio avevamo accostato l’attentato a Boston con i messaggi postati su YouTube da Bilal Hussein Bosnic? Un caso fortuito, ma che trova riscontro in quanto pubblicato sul sito jihadwatch.org che lega il nome dell’attentatore ucciso al terrorismo islamico e ai messaggi che inneggiano alla jihad.
Storie già lette e vissute, per comprendere meglio le quali sarebbe opportuno rileggere attentamente il libro “Madrasse”, di Antonio Evangelista, che spiega in chiave narrativa di come i giovani terroristi vengono reclutati e formati da alcune scuole coraniche.
L’autore – esperto di terrorismo e crimine organizzato della European Union Police Mission (EUPM) – ricostruisce l’origine e la crescita di uno dei fenomeni più pericolosi per l’intera Europa: il terrorismo islamico.
Sarà un caso se ai Balcani sono legati i nomi di terroristi come Kalid Sheikh Mohammed, Bin al Shibb,nBen Mohamed Atta, Khalid al Mihdhar, Nawaf al Hazmi?
Nulla a che vedere le visite in Bosnia di Bin Laden, il contrabbando di armi in Bosnia grazie all’apertura di nuovi canali con l’Iran e la cellula terroristica in Kosovo?
Ed è sempre una fortuita circostanza se Arid Uka, il terrorista accusato di aver ucciso due militari americani all’aeroporto di Francoforte, proveniva da una famiglia di albanesi del Kosovo e il nonno era stato un leader religioso in una moschea nel villaggio di Zhabar, nei pressi di Mitrovica, nel Kosovo?
In attesa di conoscere i trascorsi dei due fratelli Tsarnaev, sarebbe bene cominciare a riflettere sui legami che esistono tra Vienna, la Bosnia e alcuni paesi arabi.
Partendo da lì, forse saremmo in grado di dare una più chiara chiave di lettura a quanto è accaduto a Boston e potrebbe accadere in altre città dell’Occidente se non ci affrettiamo a imparare a conoscere il nostro nemico per poterlo poi combattere.
Gian J. Morici