E’ che c’erano le stelle. Ci sono sempre quando è limpido, di notte.
Non voglio più frequentare la gente, pensavo, la gente fa male. Meglio camminare tutta la vita in una strada di notte, alzare la testa, vedere il firmamento. A che serve il giorno? Di giorno non si pensa, è la notte che si rientra, l’anima si distende dentro al corpo, tira due calci discreti, e fa: sono tornata.
Non voglio più pensare a me, dicevo, se ci sono troppo, poi non c’è più spazio per nessuno. Intanto le costellazioni volteggiavano cambiando posizione ogni volta che spostavo lo sguardo, e i carri celesti si agguantavano l’un l’altro, tanto per confondermi. Era così bella la campagna nel gelo, un cristallo pronto ad infrangersi quando sarebbe sorto il sole, con invadenza e putiferio, e tutti saremmo corsi a nasconderci.
Non voglio più amare, non serve, pensavo mentre la strada era bianca sotto la luna, una luna remota, di traverso, non quella palla di superbia che certe notti grava sulla pelle delle ragazze, e sui sogni dei vecchi, e li fa temere. Avrei voluto che alla casa non si arrivasse mai, alla luce china sui tavoli, ai libri in ombra, ai letti ben rifatti, alle cucine fredde.
Non voglio più immaginare, mi rammentavo, è solo un salto fuori della vita. E intanto i sassi bianchi e fermi, rotolavano avanti a me come giocolieri, e credevo d’essere vicino ad un fiume e altro non era che un rigagnolo stagnante, vi facevano ressa i grilli, e la loro voce, nella notte muta, pesava assai di più sulla bilancia del silenzio.
Non voglio essere un uomo in crisi, mi esortavo, perché cosa vuol dire mai quella parola, così pericolosamente vicina a croce, croix, crises, che mi distoglie dalla rotondità nascosta del pianoro che percorro e mi consegna all’inutilità? Se fossi simile al cosmo indifferente, se smettessi di credere all’invisibile unione di tutte le cose, se questo fantasma che si allunga nel mio petto e sospira selvaggio come un neonato, si sciogliesse sulla strada e mi lasciasse vuoto, altro non sarei che un breve segno di gocce sul sentiero bianco, che si confonde all’umido della notte.
E’ che forse c’erano le stelle, magari lì da tanto tempo, ma quella sera erano nuove, e non avevo un granchè da sperare, non ci riuscivo più, ma c’è che le stelle ti rendono navigante.
Quest’anima mi ha raggiunto, stanotte, ed in altre ancora ci riuniremo in silenzio.
Mi dico che non voglio, non voglio e basta. Ma laggiù c’è il lampione sopra la casa. La finestra è al buio, la porta chiusa. Eppure mi è piaciuto fare questa strada. C’erano le stelle