– Perché smettiamo di vedere crescendo? –
– Esattamente perché cresciamo. Impariamo le dure leggi della sopravvivenza che ci costringono a concentrarci su quello che è utile. I nostri occhi disimparano la bellezza. (…)-
(A. Nothomb, Il viaggio d’inverno)
Ho scelto un brano particolare per esprimere la mia opinione su quanto è accaduto in questi giorni. Sulle assurde polemiche divampate in rete e su ogni tipo di media in relazione alla vicenda Chiara Di Domenico/Giulia Ichino. Assurde, agghiaccianti, sconcertanti, avvilenti, mortificanti, al punto che non ho retto. E l’amarezza che si è fatta spazio dentro di me ha prevalso sulla mia determinazione a non indulgere in polemiche che alla fine restano tali, acqua che scivola sotto i ponti, al punto di non riuscire ad accontentarmi di commentare, leggere, dissentire, concordare.
Ho scelto un brano particolare perché particolare è il concetto che per me doveva prevalere di questa diatriba – particolare quanto ahimè tristemente banale – e che invece è andato totalmente perduto, tra strumentalizzazioni di ogni genere, più o meno illustri.
Ho scaricato e letto centinaia di pagine e commenti, di illustri sconosciuti e di autorevoli intelletti, di messia de noantri e di deus ex machina. E c’è davvero di tutto, da restarci secchi, o quanto meno ammutoliti, di fronte soprattutto ad un muro di ipocrisia alto come un grattacielo calato – se e quanto nel giusto o nel merito non mi asterrò dal dirlo – a difesa di un nome che a mio parere DOVEVA andare preso come concetto, non in sé stesso, e per motivazioni se è possibile ancora più allucinanti. E ho letto di tutto. Lotta di classe, precariato, squadrismo, macchinazione, e livore, gelosia, bassezza, rabbia.
E certo Chiara ha sbagliato. Nel paese del nepotismo – e vorrei che questa parola avesse il suo senso pieno ed originario – ha sbagliato tempo e luogo per tirare fuori un nome che troppo facilmente poteva, come è stato, rendersi oggetto di fior di campagne di ogni possibile genere. Perché in piena campagna elettorale non si rivendicano i propri diritti portando ad esempio chiunque rimandi a questioni spinose della vita politica del nostro paese. Come può esserlo la questione del precariato a vita e di chi lo sta propugnando, tacciando di scarsa lungimiranza chi non riesce a comprenderne la validità e l’efficacia economica e sociale (questione spinosa questa, sulla quale amerei dilungarmi, ché sono una fervente sostenitrice della flessibilità, purché non sia quella italiana, che noi italiani siamo maestri nel far sì che ogni legge o sistema si pieghi esattamente nel verso in cui non dovrebbe piegarsi, quello che si tendeva ad evitare). Non lo si fa offrendo una freccia all’arco di chi ha bisogno di vendicarsi di un tradimento, senza riflettere sulle infelicissime conseguenze di queste becere e annose battaglie interne alla sinistra che tanto hanno gravato e rischiano ancora di gravare sul nostro paese. Perché – e qui dio me ne scampi e liberi, mi pioverà addosso l’ira di tutti gli intellettuali napoletani e non (ammesso che mi leggeranno) che sono insorti a difesa della genialità indiscussa e indiscutibile di Giulia Ichino – non si fa il nome di una persona che vale, in un’azienda privata che vale, che lei no, lei che ci azzecca con le raccomandazioni, col nepotismo, con la politica, con la lotta di classe, con la discriminazione sociale, col garantismo, il clientelismo, le convenienze, le conoscenze, le amicizie, con.
Giulia è brava. Giulia è un genio.
Beh io sono felice per lei. Come chiunque credo, persino Chiara suppongo.
Però suppongo che nella sua genialità lei sappia fin troppo bene che mentre leggevano il suo di curriculum, quello inviato per entrare allo stage, al primo contratto, altri duecento finivano nel cestino.
Ed è ovvio, fin troppo ovvio, che davvero mi pare stupido scriverlo, che non ha alcuna colpa del nome che porta, che anzi spesso i nomi sono difficili da portare.
Ma una colpa ce l’ha per me. Proprio perché è in gamba.
Ha la colpa di non aver detto E’ così, è vero, Chiara ha ragione. Io sono brava, ma forse lo è anche lei, e anche tanti altri, che non avranno mai l’occasione di dimostrarlo, perché non si chiamano come me, e qui in Italia funziona così.
Ah ma a sua difesa si è detto di tutto! Compreso che si stessero perpetrando losche insinuazioni su infime tresche tra evidenti avversari politici. O che essendo impossibili queste (ma dico ma davvero c’è bisogno di tresche, di raccomandazioni, di accordi, pre-accordi, tra i signori di questo paese, ma stiamo dicendo sul serio?) doveva essere a tutti evidente la linearità del percorso della intraprendente fuoriclasse. Quando non si è poi spostato il concetto lapalissiano e primo sui temi sui quali si voleva portarlo ossia la polemica sul precariato, da rendersi lotta di classe, e sulle divergenze politiche e programmatiche, dove si è acceso il fuoco della polemica e dello scontro che invece, Per le sorti del paese, accidenti!, andava sedato.
Ecco io sono una romantica. Una stupida idealista romantica.
E evidentemente non capisco niente. Cioè io proprio non capisco perché per salvare il paese io devo svendere il mio pensiero. Non lo capivo quando ero ragazza e non lo capisco neanche oggi. Forse sono ancora bambina, o forse VOGLIO esserlo. Forse vorrei che per un istante lo fossero tutti.
Vorrei che per un istante, per un solo istante, tutti, ma proprio tutti si mettessero davanti allo specchio e si chiedessero Ma dicevo sul serio quando ho detto che non c’è stata nessuna discriminazione, nessun privilegio, nessun favoritismo, dicevo davvero quando sostenevo che in questo paese le cose non vanno così? Chi o cosa io difendevo e perché?
Perché ahimè è vero, la povera Giulia non c’entra niente, ma anche la povera Chiara non c’entra. Siamo noi che c’entriamo.
Noi che per difendere le sorti di questo paese pieghiamo la schiena ogni giorno e non ce ne rendiamo più conto, ci adeguiamo a ingoiare di tutto per soggiogarci “al male minore”, dimentichi dei nostri pensieri, dei nostri ideali, delle cose in cui abbiamo creduto, di quelle per le quali abbiamo lottato.
A me frega zero se Giulia è la figlia di Ichino. Se Ichino ha tradito Bersani. Se tutto questo nuoce alla sinistra, a questa sinistra che fa acqua da tutte le parti. Che tutto è meno che la Sinistra. Mi frega zero se Giulia è brava di suo, se Chiara è una lamentosa ignorante, mi frega zero persino se è solo gelosa e livida di rancore.
Chiara ha detto una squallidissima, banalissima verità, che conosciamo tutti. E la conosciamo talmente bene che non ha neanche senso dilungarsi ad esporla.
E io trovo folle e assurdo negarla. Trovo folle e assurdo negarla per ragioni politiche. Di calcolo politico. Trovo folle e assurdo negarla barricandosi dietro le strumentalizzazioni. Per evitarle o per farne di proprie. Strumentalizzazioni su strumentalizzazioni. Trovo folle e assurdo e peggio qualunquistico farlo per difendere una persona che, proprio per quello che vale, poteva difendersi da sola. E trovo anche peggio che a difenderla siano scesi quelli che più che lei hanno difeso un logo. Che è il logo che pubblica i Volo, le Tamaro, i D’Avenia, oggi anche i Morelli (mi spiace dirlo che lo conosco da bambino e gli voglio bene come a un fratello, ma deve fare l’attore, scrivere per il teatro, la letteratura è altro). Si è perso Moccia, questo mi spiace. E non sta a me dirlo, neanche lo dico, lo leggo, ogni santo giorno, questa non è cultura, è economia, sembra d’un tratto lo abbiano tutti dimenticato, non ci si mette contro chi un giorno potrebbe invitarci a sederci con lui, piacerebbe a tutti, persino a me.
E trovo folle e assurdo che nessuno abbia detto quello che invece si dice ogni giorno.
Che questo paese non produce più geni.
Non produce più grandi scrittori, grandi scienziati, grandi ingegneri, grandi architetti.
Che il ponte sull’autostrada lo fa Calatrava. Che è un genio.
Che la stazione della metro a Pianura la fa Kapoor, che è un genio. Del quale se da architetto riesco a comprendere il pindarico volo filosofico-immaginifico del fare di una stazione una vulva in una città di fuoco come Napoli, pure vorrei accreditargli la possibilità di una possibile ironia sottilmente rivolta al nostro paese.
Che forse se geni nel paese di Leonardo, di Michelangelo, di Manzoni, di Pirandello, di Calvino, mi si perdoni se non faccio un elenco come si deve, non ce ne sono più è perchè tanti geni restano fuori alla porta. O dentro un cestino per la carta straccia.
Cinzia Craus



 
         
         
         
         
         
        
thanks.