Quando se ne accorse era già troppo tardi.
Sentì una malinconia che conosceva da tempo andare a toccare le corde di quella sensibilità sempre avida di tornare a galla, uscire allo scoperto, mostrarsi per lanciare il solito campanello d’allarme. Ancora una volta.
Fece un sospiro e decise di uscire. Ora non aveva voglia di trovare risposte accuratamente nascoste alle tante domande che come mani, continuavano a scuoterla da un finto torpore.
Ora no.
Fece un giro nel suo quartiere che viveva ben poco, tra lavoro e altri impegni. Si ritrovò a percorrere strade che non ricordava, si inoltrò tra piccole vie. Era domenica, il suono delle campane la fece sussultare ma passò oltre la chiesa. Lei, che non aveva mai creduto pensò che almeno doveva ricominciare a credere in se stessa.
Si fermò al mercatino, c’era gente, sentiva il richiamo dei venditori, signore che si affrettavano a chiedere uno sconto, il fine di quella giornata sembrava essere quello di avere ciò che desideravano al minor prezzo possibile. Quel vocio e quel gioco di compromessi tipico del commercio le diede fastidio. Improvvisamente si sentì stanca.
Arrivata sulla piazza si sedette su una delle tante panchine.
Davanti a lei un piccolo spazio giochi per bambini le cui urla di felicità le entrarono dentro ricordandole tempi lontani in cui anche lei, piccola e spensierata, volava sulle altalene sognando di toccare il cielo e un futuro che vedeva magnifico, come le fiabe che leggeva.
Poi si guardò intorno. La gente passava, chiacchierava. Alcuni li vedeva “vivi”, altri solo intenti a ripercorrere lo stesso identico tragitto, i soliti gesti di ogni domenica.
Sembravano sereni ma qualcosa le diceva che non lo erano affatto.
Loro si erano schermati da quella malinconia che bussava solo alla sua coscienza.
Poi il suo sguardo venne calamitato da un anziano seduto sul muretto della chiesa. Era curvo e guardava costantemente in basso, il volto fisso su un punto non ben precisato dell’asfalto. Come se avesse perso qualcosa e la stesse cercando.
All’improvviso sentì delle grida e la gente far capolino attorno allo scivolo dello spazio giochi. Istintivamente si alzò per vedere cosa era successo e per essere d’aiuto. Una bambina era caduta battendo la testa, la gente non lasciava vedere molto, si avvicinò un medico, i genitori gridavano, erano stati chiamati i soccorsi.
La sua ansia aumentò. Qualcuno disse che non si sentivano i battiti, che dovevano andare all’ospedale, che forse era morta.
Il suono delle sirene si scontrò con quello delle campane.
Lei fece un passo indietro, poi un altro e un altro ancora.
Non avrebbe potuto fare nulla se non sottrarre con la sua presenza un briciolo di aria e luce alla piccola.
La sua malinconia aumentò, si trasformò in ansia e paura.
Decise di tornare a casa.
Si. La sua era una fuga da una situazione tragica che stava vivendo con eccessiva partecipazione emotiva.
Attraversò la strada dalla parte opposta e così facendo si ritrovò a passare davanti la chiesa. Si domando se quel Dio avrebbe aiutato la piccola bambina, se il suono delle campane avrebbe prevalso su quello delle sirene.
All’improvviso passò davanti all’anziano signore che aveva visto prima, ancora occhi a terra in un’immobilità che non era più neanche attesa.
Era stanca, tutto le attraversava il cuore come una lama acuminata.
Così e non seppe mai darsi una spiegazione, si sedette accanto a quell’uomo.
Passarono dei minuti poi lui la salutò:
“Buongiorno Marta”.
Lei trasalì. Aveva sentito bene? Si voltò verso quell’uomo che continuava a guardare in basso.
“Mi scusi, come fa a sapere il mio nome?”
L’uomo sorrise ma non rispose. Poi le chiese cosa era successo al parco giochi.
Marta faticò a dargli una risposta, chi era quell’uomo che lei non aveva mai visto e come poteva sapere il suo nome?
“Una bambina è caduta dallo scivolo, pare abbia sbattuto la testa, c’era molta gente ma è arrivato subito un medico e ora l’ambulanza è ripartita”.
“Spero non si tratti della piccola Giada!”
Lei lo osservò, per tutto il tempo continuò a guardare a terra.
“E lei Marta perché è scappata?” gli chiese l’uomo.
Ora l’ansia la stava logorando, le sue fragilità venivano sbucciate come un frutto maturo e da uno sconosciuto di cui, ammise con se stessa, cominciava ad avere paura.
“Chi è lei e perché sa il mio nome?”
L’anziano sorrise.
“Vede Marta, io sono cieco. Eppure ogni giorno vengo qui. Conosco molte persone e conosco anche lei. Ho riconosciuto il suo profumo e la sua ansia. Lo sapeva che i disagi hanno un odore? Che le nostre fragilità, le paure, il panico, la tristezza hanno un modo di farsi riconoscere? Emanano un odore, una sorta di profumo. Tutti possono sentirlo ma in noi ciechi questi sono doni che si sviluppano naturalmente.
Noi abitiamo nello stesso palazzo ma non voglio farle una colpa per non sapere chi sono io. In effetti non ci siamo mai veramente incrociati. Lei esce tutte le mattine alle 7 e io pochi minuti dopo. L’ascensore ha ancora il suo profumo quando lo prendo io. Abito due piani sopra di lei, stessa scala, stessa colonna. E ultimamente insieme al suo profumo ho sentito anche questa fragranza di insofferenza e malinconia, di ansia e timore.
A volte, avrei voluto aspettarla alle 7 per darle solo un abbraccio e dirle che la vita, sempre, merita di essere vissuta con il sorriso sulle labbra.”
La donna era rimasta senza parole e senza respiro.
Possibile che non lo avesse mai visto prima e possibile che la profondità e la saggezza di quell’uomo, le parole appena pronunciate le creassero un simile scompiglio interiore?
Le venne un’irresistibile voglia di piangere, come non faceva da tempo.
“Pianga Marta, pianga e non si vergogni di farlo qui in mezzo alla piazza. Non aspetti di andare a casa per liberarsi della sua tensione, ora ci sono io. Anche il pianto lascia un profumo come di un giardino appena fiorito, lo sapeva?”
Ancora silenzio e stupore, la meraviglia si impossessò della sua anima. Avrebbe voluto correre, scappare ancora una volta ma non riusciva ad allontanarsi da quella presenza.
“Io non so neanche quale è il suo nome”.
“Già, mi scusi Marta, io mi chiamo Vittorio”.
“Bene Vittorio, credo che ora lei senta tutti gli odori e i profumi di questo mondo accanto a me. Vorrei dirle che domani esco come tutte le mattine alle 7 e mi piacerebbe incontrarla per avere un suo abbraccio. Però lo sapeva Vittorio che la vita, sempre, merita di essere vissuta con il sorriso sulle labbra? E che non è mai troppo tardi per ricominciare? E lo sapeva che a volte serve proprio un abbraccio per sentirsi accolti e compresi? Ecco, io vorrei che lei mi abbracciasse ora, in questa piazza piena di gente e che mi trasmettesse la sua sicurezza se non le crea problemi. Lo farebbe per me?”
Per la prima volta l’uomo alzò la testa, si voltò verso di lei e la guardò con occhi spenti ma vivi. Le sorrise ed allargò le braccia.
Lei gli si gettò addosso e cominciò a piangere come una bambina.
Sentì la sua mano carezzarle lievemente i capelli ed aspettò che il suo respiro si fece man mano più lento e costante. Marta provò un grande senso di sollievo.
Avrebbe chiesto di restare così per il resto della sua vita, con quella sensazione di recuperata serenità.
Quando si staccò da lui, gli strinse solo forte le mani.
Non le sfuggirono i suoi occhi lucidi.
Lui si alzò.
“Andiamo a casa, almeno per una volta facciamo insieme lo stesso percorso. Mi accompagna lei vero Marta? Mi deve solo prendere sottobraccio, conosco questa strada come le mie tasche ma per una volta la voglio dimenticare e farmi condurre da lei. Ah Marta posso darle del tu?”
La donna disse di si facendo fatica a trattenere le lacrime.
“Domani mattina alle 7 io aspetterò di sentire la tua porta aprirsi e prenderemo insieme lo stesso ascensore. Poi mi piacerebbe fare colazione con te al bar. Dici che si può fare o ti faccio arrivare tardi al lavoro?”
Marta sorrise, cominciò a sentire anche lei nuovi profumi, come quello di un giardino appena fiorito.
“Certo che si, domani mattina faremo colazione insieme, ora andiamo che comincia a fare freddo.”
Si incamminarono sottobraccio, chi non li conosceva avrebbe pensato ad una giovane donna che portava a spasso il suo anziano padre.
Solo loro sapevano di vita vera e di emozioni che emanano profumi che solo le anime più sensibili riescono ad annusare.
In quel momento le parve di sentire nitidamente il profumo forte del limone e lo disse a Vittorio.
Ancora una volta lui sorrise:
“Il limone è la fragranza del sole, della gioia e della felicità. Stai annusando le sensazioni che oggi tu hai regalato a me. Vedi, pensavi solo di aver “preso” qualcosa da questo povero vecchio e non credevi invece di avere a tua volta “dato” qualcosa. Nulla è casuale nella vita, avevamo entrambi bisogno l’uno dell’altra per ritrovare noi stessi”.
Così da quel giorno le stagioni cominciarono ad avere per lei solo il profumo di impercettibili sfumature di emozioni.
Stefania Lastoria
Foto di Massimo Losacco
Grazie, onorata.