Sento cantare in russo, è sicuramente russo, la musica la conosco, è Mussorgskij. Questa viene da lontano, mi sembra giusto, forse l’ultimo piano dove c’è sempre sarabanda e via vai di esteri.
E’ un pomeriggio, credo. Le serrande sono abbassate, non trapela che una luce sbiadita, che potrebbe appartenere all’alba tumefatta dei giorni di pioggia.
Le lenzuola sono bianche, e le pareti in ombra sembrano grigie. Hanno cambiato solfa, mi pare sia l’Appassionata, però chi l’avrebbe detto, non facevano altro che mandare Maria Biesu, con allegria dalla Moldavia. Chi c’è all’ultimo piano, mannaggia, c’è stato un trasloco e io non me ne sono accorto.
Poi si scatena Caruso, nientedimeno, riconosco la canzone che mio padre cantava a torso nudo mentre si sbarbava, era allegro, solo in allegria si possono cantare quei drammoni.
Dovrei alzarmi, e farmi un caffè. Ma non posso. Si, ritorna l’Appassionata, il secondo tempo direi, e non posso, sono così nitidi i suoni, come se tra me, il mio letto e due piani sopra il mio non ci fosse che un vuoto in cui il suono trasmigra per poi circondarmi.
Avrei bisogno, per alzarmi, del Canto della Terra, ma dubito, fortemente dubito che qualcuno lo possegga qui. Per quel che ne so, all’ultimo piano oggi c’è un fantasma. Cerco a tastoni l’orologio.
Non è mattina, né tardo pomeriggio.
“Tramonta il sole dietro la montagna, discende in tutte le valli la sera con le sue ombre piene di frescura”*.Questo è, questo vorrei sentire, e ancora, andrei alla finestra se solo da qui si vedesse la luna.
Dovrei alzarmi, ma ormai, è notte. Dovrei mettermi in ordine e salire all’ultimo piano e chiedere di entrare e di sentire la musica. Portare qualche disco, per non stare in solitudine. Quanti dischi ho accumulato, mi sembra una intera parete, con i titoli che non riesco neanche più a leggere per quanto mi si è affievolita la vita. E cercare Der Abschied, perché ora ho voglia di risentirlo, che sono anni che intorno a me non c’è che un stridore di suoni e qui in casa, il silenzio. Andare alla finestra e spalancarla, sentire che “la terra respira piena di pace e sonno”. Non c’è più tempo, e non è la stagione, la mia o quella dell’Universo. Eppure mi andrebbe ancora di rimanere sospeso alla voce del contralto così ben assortita alla musica, e risentire quale grande, orrendo ricatto sia la vita. Per farmi passare questa nostalgia basterebbe tirare su la serranda e far andare lo sguardo sul quadro che ho per panorama. L’asfalto nero, il prato secco e marcio dal vizio della notte, dei bidoni grigi stracolmi di sacchetti. Ecco, siamo oltre la poesia. Siamo alla verità. Oltre la mia finestra c’è la verità, ma non c’è la bellezza. E’ un fatto. Devo bere. Immaginare che “canta il ruscello pieno di melodia attraverso il buio”*
Certe volte, e questa è la ragione del mio stare steso qui, diciamocelo, non è la pigrizia, o questa stanchezza che dura da mesi, e la solitudine che ho voluto, per carità, ho buttato tutti fuori dalla mia vita, ho pensato : Ma voi non immaginate che musica ho io nella testa. Voi parlate, ridete, piangete, ed io ho una musica nella testa, delle parole, dei suoni, e non posso rimanere con voi, non posso proprio. Per questo tengo serrate le finestre, perché non mi entri la realtà. Mi disturba troppo.
Il più delle volte erano i versi di qualche sconosciuto, ce ne sono di poeti, sugli autobus popolari, le donne parlano e snocciolano alcuni proverbi, modi di dire, sottolineandoli con un Te lo dico io, e la mano che batte sul petto, è lì che sono, tutte nel petto. E la periferia scorre nei finestrini, loro sono indifferenti sia ai tramonti rossi e velati, sia alle mattinate cinerine, mentre tu pensi, com’è elegante il cielo d’autunno, transitano nubi in compagnia delle stelle. E’ questo che mi divide. Si ci ho provato, per parecchi anni, a sentire la musica degli altri. Il risultato è che ora sono fermo in questo letto, la testa mi scoppia, al vertice della palazzina c’è qualcuno che mi sembra affine. Forse troppo tardi. Ho litigato con tutti qui. Eppure non ricordo il nome di nessuno, tranne di una tal Ornella che mi riportò alcuni giudizi inconfutabili del vicinato sul mio conto, dal che ne dedussi che il mio vicinato ed io non eravamo poi sempre in disaccordo.
Dovrei controllare se nel frigo ho abbastanza scorte, almeno per una settimana, tanto me ne serve ancora di tempo per uscire da questa malattia. Non è sempre così, a volte dura due giorni, o solo una notte. Sarà ora? Mi chiedo. Sono sempre in attesa, chiuso qui, per poter immaginare. Siete futili, tanto quanto io sono severo. Ricomincia, credo abbiano un giradischi, di quelli che fanno andare anche i 78 giri, qualcosa che avranno rimediato, o che si saranno trascinati dietro come la fame: di soldi, di benessere, di spazio, di catene, che ce ne sono ovunque. Ma hanno abbassato l’audio, è tardi, che gentili, maledetti loro. Mi alzo sui gomiti, come per avvicinarmi al soffitto, vanamente. L’inizio neppure si percepisce, è confuso dalle interferenze degli scarichi che si intrecciano nei muri sottili. Mi piacerebbe che fosse questa l’ora, visto che ho tanta voglia di ascoltare, come se non giacessi più in questa stanza da troppo tempo.
-Io so che tu ti stancherai di me – diceva una ragazza sul treno, una bella bella ragazza, ad uno stolto che rideva. Lei era seria, stavo di fronte a loro, muto, le parole di lei cadevano giù, sembravano perdersi in un pozzo nero senza rassegnazione. Ecco che tornano, e al centro di quella caduta ci sono io, senza consolazione. La vita si è stancata di me. Ci sono tante parole stasera che mi passano per la testa. Penso che andrò su, suonerò al loro campanello ed entrerò come si entra in una Locanda di sera, un riparo inaspettato, in mezzo alla vegetazione, lontano dal sentiero. Dove si capita quando si è perduti. Hanno messo una musica nuova, ma io la riconosco, anche se è lontana, sommessa, impercettibile, io so che hanno scelto il disco giusto. E’ dunque l’ora, devo scendere da questo letto, arrivare su, almeno sull’ultima nota, farmi accogliere. Sto borbottando qualche parola di introduzione, ammesso che io ricordi ancora come presentarmi con un certo garbo. So anche qualcosa di russo, all’occorrenza, niente fa più piacere in terra straniera che udire uno che si sforza di massacrare la tua lingua madre per venirti incontro.
Se tu tornassi, penso, mentre mi libero di questo pigiama logoro, intristito attorno al mio corpo.
“Come vorrei, amico, al tuo fianco godere la bellezza di questa sera – dove indugi? Tu mi lasci a lungo solo!”*. Troppa, troppa attesa. Dovrei mettermi qualcosa di buono, tanto per non spaventarli, magari non di eccentrico, ma forse a loro piace, sono russi. Ecco, c’è un’anta dell’armadio che non apro mai, lì ci sono i tuoi vestiti. Credo che non ti dispiacerà se questa sera metto il tuo vestito buono, io non ne ho mai avuti. Mi sembrerà di salire le scale accompagnato da te, insieme andiamo a sentire della musica, da amici, ecco, non si è mai interrotto nulla, e la nostra vita è andata avanti, e insieme, insieme. Sto farneticando. Ho le labbra secche. Questa camicia può andare bene. Non so che aspetto ho e neanche voglio saperlo. Non servono le chiavi, terrò la porta accostata, per quando rientro.
L’androne è buio, le lampadine non fanno in tempo a cambiarle che subito certi le rompono, per trafficare meglio, smerciare le loro storie, appena dietro la porta della gente perbene. Ma la musica da qui si sente meglio, si inerpica per le scale, fa strada diciamo, mi dà la direzione. E’ l’ombra che possiede i gradini, come ha fatto ad entrare anche nella mia vita, me lo chiedo. Mi aggrappo al mancorrente. Non c’è un muscolo in queste gambe, a quanto pare. La sento cantare: “Rispose e la sua voce era velata: Amico mio, la fortuna in questo mondo mi fu avversa”*. Non riesco a proseguire, devo riprendere fiato, non potrei che risponderti: “O Bellezza! O mondo ebbro di eterno amore, eterna vita!” E’ meglio che io mi segga su questi gradini. Perché non c’era amicizia tra di noi. Ti amavo. “Tramonta il sole dietro la montagna”* non faccio che ricordare e ricordare, e questo mi ha sfinito. Non mi ha giovato continuare a vivere, anche se non posso dire di non amarla la vita, sicuramente più di quanto amassi te, questo è onesto riconoscerlo. “Dove vado? Cerco pace al mio cuore che è solo”* Non so chi troverò alla sommità delle scale, se mi apriranno, se le persone saranno gentili, se mi capiranno. Arriverò mentre la voce dirà sommessamente:” io sono qui ad aspettare il mio amico, mein Freund”* Ora mi confondo, le strofe si accavallano, è vero, come intere sequenze della mia storia, forse sto sognando come gli uomini che tornano a casa, e nel sonno incontrano di nuovo la loro giovinezza. La musica intensifica il suo respiro, debbo affrettarmi. L’orchestra dà degli strappi, è l’andamento un passaggio impervio, oscuro, interrotto, non c’è nessuna melodia, proprio nessuna. E’ che,ora mi accorgo che tasto il muro al buio e non trovo un benché minimo oggetto che somigli ad un pulsante. Allora strofino le mani sulla porta, batto debolmente con le nocche, e la musica risponde così intensa, e nessuno potrà udirmi, e allora, non importa. Mi appoggio alla parete e aspetto. Che tu torni. Che si spalanchi una porta e qualcuno mi sorrida. “Egli scese di cavallo e gli porse la bevanda dell’addio”* “Gli disse dove andava e perché doveva partire”* Non mi sembrava ci fosse una ragione al mondo perché tu dovessi andare via. Non c’è un posto dove io possa rivederti, nemmeno di nascosto, o per caso. E’ tutto così freddo da allora, veramente, i miei ragionamenti sono rimasti privi di calore. Ma questa volta non durerà a lungo questa inedia, questa volta guarirò velocemente. Se solo aprissero la porta, per introdurmi in una casa calda, con dei tappeti, qualcosa di rosso, di ocra, libero dalla polvere, dall’infelicità. “Oh Schonheit! Die liebe Erde…”* la buona terra fiorisce ovunque in Primavera e torna verde”*…” In eterno, in eterno”* Non è quello che si promettono gli amanti, quello che ci fa immaginare la vita? Sono scivolato così in basso, e tengo le mani su questa porta chiusa. Il legno è caldo,e tu sei qui. Forse mi chiederanno ragione di tanta invadenza, risponderò: “…io sono qui ad aspettare il mio amico; lo aspetto per l’ultimo addio”*
* Tutte le parti tra virgolette e asterisco sono tratte dalla Traduzione del Testo L’Addio, da Il canto della terra –Sinfonia per tenore, contralto e orchestra di G. Mahler su testi tratti dal Flauto cinese di H. Bethge