I Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Caltanissetta hanno eseguito una ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Caltanissetta su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 4 persone ritenute responsabili dei reati di estorsione e detenzione illegale di armi ed esplosivi. La misura restrittiva è stata notificata, nei rispettivi luoghi di detenzione, al rappresentante provinciale di Cosa nostra agrigentina Giuseppe Falsone, al suo fiancheggiatore Vincenzo Parello di Favara e ai fratelli Alfredo e Angelo Schillaci di Campofranco (quest’ultimo già reggente di Cosa nostra nissena). Il provvedimento si inquadra nella più ampia attività di contrasto condotta nei confronti di Cosa Nostra nissena e che, nei mesi scorsi, attraverso le operazioni “Grande Vallone” e “Repetita Iuvant”, ha colpito le strutture di vertice delle famiglie operanti nell’area a confine con il territorio agrigentino, documentando la composizione organica delle consorterie e gli interessi illeciti sottesi all’infiltrazione negli appalti pubblici e al condizionamento dei settori di mercato di maggior rilievo per l’economia locale.
Il quadro probatorio si avvale anche delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Maurizio Carruba, che hanno integrato e valorizzato un vasto patrimonio di conoscenze maturato dall’Autorità giudiziaria e dagli organi investigativi nel corso delle precedenti indagini (indagine “Itaca” del R.O.S., indagine “Ghost” dei Carabinieri di Agrigento, corrispondenza sequestrata in occasione della cattura di Bernardo Provenzano), consentendo di trarre concreti elementi di riscontro, oltre che dai nuovi approfondimenti, dalla rielaborazione di risultanze pregresse prive di autonoma efficacia probante. In particolare, è stata ricostruita un’articolata vicenda estorsiva che, tra il 2003 e il 2004, si è sviluppata intorno all’acquisizione, da parte dell’impresa agrigentina Gruppo Asfalti S.r.l., di un impianto di conglomerati bitumosi (in passato appartenuto alla società Si.Con.) sito in c.da Piana del Comune di Sutera (Cl), ceduto agli acquirenti dalla Aloisio Calcestruzzi S.r.l. di Giovanni Aloisio, imprenditore ritenuto vicino ad ambienti mafiosi.
L’operazione antimafia “Amicizia” eseguita dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Caltanissetta che ha portato all’arresto di quattro boss mafiosi di Agrigento e Caltanissetta, Giuseppe Falsone, al suo fiancheggiatore Vincenzo Parello di Favara e ai fratelli Alfredo e Angelo Schillaci di Campofranco ha riservato sorprese e importanti spunti investigativi. Tutto è nato, rappresentando l’elemento centrale del quadro accusatorio, da un brano di una missiva sequestrata nel covo di Bernardo Provenzano, contenente riferimenti di cui non si era finora pervenuti a interpretazione esaustiva e di cui il pentito Maurizio Carruba ha ora favorito una puntuale decriptazione; nel passaggio in questione, Giuseppe Falsone comunicava al latitante corleonese di aver provveduto a inviare del denaro all’“amico CL” (identificato in Schillaci Angelo), provento di una “situazione” appositamente creata per lui. In effetti, Giuseppe Falsone è ritenuto artefice occulto dell’operazione nonché mandante dell’estorsione, nella qualità di vertice di Cosa nostra agrigentina e di referente mafioso dell’impresa acquirente, sulla quale il sodalizio già esercitava un’intensa influenza in funzione del controllo dello specifico settore di mercato. Il progetto criminoso risulta ampiamente avvalorato dall’attività svolta da Vincenzo Parello, fiancheggiatore del Falsone e da lui incaricato: di seguire personalmente, presenziando alle riunioni e garantendone il buon esito, la costituzione della Gruppo asfalti s.r.l., nella quale confluivano diverse ditte agrigentine; di sovrintendere all’acquisizione dell’impianto di Sutera, interloquendo e trattando personalmente – in luogo degli acquirenti – con Giovanni Aloisio, sulla base di una consolidata familiarità di rapporti; di tenere i contatti dapprima con Angelo Schillaci e, successivamente (atteso che questi era stato frattanto arrestato), con Alfredo Schillaci, nelle cui mani provvedeva alla materiale consegna della quota (inizialmente quantificata in Euro 20.000) spettante alla consorteria nissena per ragioni di competenza territoriale. Secondo gli iniziali accordi pattuiti tra il Falsone e gli Schillaci, quest’ultimo avrebbe altresì goduto dell’affidamento permanente alla sua ditta di commesse relative al trasporto del materiale commercializzato dall’impianto. La vicenda si inquadra nell’ambito dei saldi vincoli di alleanza che, sotto l’egida della comune legittimazione conferita da Bernardo Provenzano, legavano lo schieramento agrigentino facente capo al Falsone alle figure di vertice della famiglia di Campofranco succedutesi nel tempo, dando luogo a molteplici occasioni di collaborazione, anche grazie alla vicinanza territoriale, per l’attuazione delle rispettive strategie criminali. In tal senso, le dichiarazioni rese dal Carruba forniscono puntuale e circostanziata conferma dell’impianto accusatorio del procedimento “Grande Vallone”, laddove, sulla base dell’analisi del contenuto dei “pizzini”, veniva addebitata all’attuale collaboratore di giustizia una sorta di successione a Angelo Schillaci nel ruolo di referente nisseno del Falsone: è ora emerso, infatti, che le interlocuzioni epistolari di cui era parte Carruba non erano meramente funzionali alla trattazione di occasionali emergenze, me rientravano bensì in un’ambiziosa strategia di espansione elaborata dal latitante agrigentino, volta ad estendere la propria area di influenza oltre i confini della propria provincia con il contributo attivo del Carruba stesso; tale proposta veniva infine declinata dall’attuale collaboratore di giustizia, che preferiva limitarsi all’esercizio delle proprie attribuzioni all’interno del territorio di competenza della propria famiglia, di cui era reggente.