– Lo ami? –
– … Cosa? –
– Laura. Non mi sembra una domanda complessa, anzi. Anzi è proprio una di quelle domande semplici e chiare. E dirette, soprattutto. Non è stato altrettanto semplice per me fartela, quindi, rispondi. E’ inutile che tu prenda tempo. Una domanda, una risposta. –
Ovvio che Claudio con quell’ “è inutile che tu prenda tempo” si riferisse ai due-tre secondi che lei, Laura, aveva impiegato a rendersi conto, rispondendo al cellulare – non premurandosi di nascondere o quanto meno mimetizzare, peraltro, il consueto tono di disappunto (che le veniva costantemente rimproverato) da interruzione-intromissione- irruzione illecita nella propria privacy e/o nello svolgimento delle proprie attività, né tanto meno l’affanno, prodotto dalla rocambolesca quanto ineluttabile, dato il rapporto estremamente conflittuale con l’oggetto disturbante, ricerca dello stesso in tutto l’ufficio, bagno compreso, sulla scia dell’odioso alternarsi di suoni e vibrazioni – che in linea c’era lui, lui Claudio.
Che poi per lei, Laura, quei due- tre secondi fossero trascorsi in realtà nell’ordine a: a) chiedersi per quale maledetto motivo ho risposto, perché ce l’ho fatta a tempo/perché hai aspettato tanto e non hai attaccato; b) contenere l’istinto naturale e primario con il quale ogni essere vivente salvaguarda la propria esistenza ed il proprio benessere psicofisico e non attaccare; c) guardare l’orologio e prospettarsi la solita immutabile sequenza di parole, domande, richieste, riflessioni, recriminazioni, inframmezzate da notizie di dubbio interesse, spesso peraltro già riferite in conversazioni precedenti (e sì, anche), il tutto condito da una snervante lentezza sulla cui origine fisiologica e/o patologica aveva da tempo smesso di porsi domande; d) maledirsi per non aver risposto con voce squillante e/o gentile/gioiosa, che in fondo tante volte potrebbe anche essere un cliente, che rompe lo stesso, ma è pur sempre un cliente – qualche volta guardare il display prima di rispondere no eh? Che pure è un bel modo possibile di evitarsi poi due-tre secondi di tutte queste riflessioni, non rispondi e basta ed è fatta, niente, te lo meriti allora – dunque maledirsi per il tono, che adesso i primi dieci minuti saranno dei soliti “rispondi sempre così, hai sempre da fare quando ti chiamo, non puoi tenere il telefono vicino, e bla, bla, bla, bla”; e) ma chi è? Perché sì, insomma, in teoria, se non guardi il display e dopo il pronto non dicono “Sono…” dovrebbe essere questa la prima domanda da farsi e da fare, ma non te la fai, Laura non se l’era fatta, se, diciamo al secondo uno – uno e mezzo, purtroppo direi a questo punto, riconosci la voce, ma se poi quella voce ti fa una domanda diretta e personale, estremamente diretta e personale, che proprio non te l’aspetti, insomma oramai conosci il copione, rimani un momento di stucco, che dici no aspetta allora ho sbagliato, ma allora chi è che mi chiede una cosa del genere, ti viene persino il dubbio di avere qualcuno a cui dovere risposte, senza saperlo. Di averlo. Insomma che per Laura quei due- tre secondi fossero stati sin troppo impegnati, direi strizzati, costipati, sfruttati fino all’osso in una serie di attività necessarie a riprendere il proprio auto-controllo di fronte all’ormai assodata inevitabilità del contraddittorio, imponendosi con stoica e metodica rassegnazione e determinazione la calma e la comprensione, rivisitando inoltre e nel caso specifico, in modo fulmineo, il passato recente alla ricerca di eventuali quanto improbabili rimozioni, ovviamente era cosa che, nonostante se ne fosse a lungo parlato, nonostante il tempo trascorso, nonostante la presunzione di profonda conoscenza che si ipotizza dovrebbe esserci tra due persone che hanno condiviso per lunghi, lunghissimi anni lo stesso tetto, alle orecchie e al cervello di Claudio non era mai arrivato.
Così non solo la discussione iniziava in modo inconsueto – cosa questa che se da un lato poteva prospettare il brivido (sempre un brivido è) della novità, dall’altro, dato il momento particolare, di febbrile ritardo sui tempi di consegna di alcuni lavori, probabilmente la noia sarebbe stata più compatibile con lo svolgimento contemporaneo di qualche attività collaterale non troppo impegnativa, tipo aprire la posta, rispondere a qualche e-mail, scrivere un paio di sms – ma, per due-tre secondi, risultava falsata in partenza, di fronte alla presunzione di un tentennamento, passando repentinamente da una comunicazione tra pari, certo, non esattamente pari, giacché Claudio restava tra i due la cosiddetta parte lesa, pur non rassegnata, sofferente, era questo il motivo per cui Laura alla fine continuava ad auto vessarsi, al classico scontro dis-equilibrato tra innocente e colpevole, che assumeva, considerando che erano ormai trascorsi diversi mesi da quando la conclusione della loro storia era stata finalmente ratificata – l’ assimilazione del concetto da parte di Claudio ne aveva richiesti almeno altrettanti – un carattere quanto meno grottesco, cui contribuiva tra l’altro, non poco, una certa ironia nei toni che la voce di Claudio sembrava tradire.
Ora contenersi dal cavalcare il sarcasmo, riconoscendo le ripercussioni negative che un simile indirizzo avrebbe certamente provocato, e contenere un legittimo “Va al diavolo!” bisogna ammettere che non è cosa da poco. Né da tutti.
– Non so di che parli –
– Laura, per favore. Io ho bisogno di saperlo, lo capisci?-
– Hai bisogno di sapere che?-
– Se lo ami –
– Se ami chi? –
– Lui –
– …. –
– Ecco, lo vedi, tentenni di nuovo. –
– Non tentenno. Sono estenuata. Insomma che cosa vuoi? –
– Devo sapere se tu lo ami. Per me è importante. Se tu lo ami allora vuol dire che tra noi è davvero finita. –
– … –
– Posso mettermi l’anima in pace. –
– Tu sei pazzo –
– Perché vuoi nascondermelo? –
– COSAAA? Cosa io voglio nasconderti? –
– Che ami un altro –
– … –
– Dimmelo. –
– Ok, se può farti felice… –
– Non è per farmi felice. E’ per mettermi l’anima in pace. –
– … –
– E lui ti ama? Ti rende felice? –
– … –
– Nessuno mai ti amerà come me. –
– No, infatti –
– Che intendi dire? –
– Niente. –
– Chi è? –
– Chi è chi? –
– Quello con cui stai. –
– Senti sono stanca e ho da fare. –
– Perché non vuoi dirmelo? –
– Perché non lo so? –
– Che vuol dire? –
– Esattamente quello che ho detto. Posso dirti quello che vuoi, non inventarmi qualcosa che non esiste. –
– Me lo hanno detto. –
– Bene, vuol dire che qualcuno ne sa più di me. Chiedi a loro. –
– Perché menti? –
– … –
– Rispondi. –
– Perché non so mentire. Senti non ne posso più. Ma che hai? Che cosa ti cambia? Che gioco è? –
– Se tu ami qualcuno, se stai con qualcuno, se sei felice, io sono… –
– Contento? Grazie. Peccato però che non è così. Ma puoi essere contento lo stesso perché è quello che voglio, stare da sola. –
– Non sono contento –
– … –
– Non puoi stare da sola, è una forzatura. Nessuno può stare da solo. Ed è per questo che ti chiedo di dirmelo, perché se non c’è nessuno allora… –
– Allora che? –
– … –
– Insomma lo hai capito che tra noi è finita, che non ti amo più, che non ti desidero, che non torno indietro, non ho niente, più niente da darti, non voglio? Ma non è penoso farsi ripetere queste cose una, due, tre volte al giorno, poi accettarle, soffrire, due giorni, due settimane, due mesi e poi ricominciare? –
– Lo ho capito. –
– E allora? –
– Ma non hai nessuno. Perché non hai nessuno vero? –
– … –
– Io potrei anche sposarti, se non avessi nessuno. Saresti felice. –
– Immagino. Saremmo felici. Entrambi. Peccato che io sia contraria al matrimonio. Ora ho da fare, scusa. –
– Ok. Ceniamo insieme domani. Ti porto il sushi. Non puoi stare sempre da sola. E’ triste stare da soli. E poi a te piace il sushi. Io non dimentico niente. –
Click.
La felicità è un piatto di sushi.
In memoria di quello che non c’è più. Da un pezzo.
Se non hai nessuno ti tocca.