Sentimenti scadenti. Di seconda scelta. Come le piastrelle per il secondo bagno o per la casa al mare. Come i jeans difettati. Come certa frutta in certe estati troppo calde, conservata in frigo a fermarne la maturazione. Che quando arrivi a casa dentro è già marcia. Ecco, forse più così, come la frutta. Che le altre cose te lo dicono che sono di seconda scelta e sei tu che le scegli, per risparmiare. La frutta no. Te la danno per buona. E te la fanno pagare.
Ilaria si accarezza la pancia. Nuda. Nuda e liscia e tesa come la pelle di un tamburo. Potrebbe suonarla, e le scappa da ridere. O bucarla – no, esploderebbe – trovarne, aprirne l’accesso, l’ombelico, si, e volerebbe via per sempre, volerebbe con lei, come un palloncino colorato all’uscita del parco, o dell’ultima festa, scomparendo dagli occhi e dal cuore. E le scappa da piangere. Click! Riguarda la foto. Questa è carina. Il tamburo ha vinto sul palloncino e sul display è rimasto un sorriso. Quando aspettava
Martina non aveva una macchina digitale e di foto doveva farne tremila per essere certa che almeno un paio fossero giuste. Giuste per ricordare.
Si riveste. Tra poco Martina si sveglia e le passerà il tempo, il ricordo, il silenzio, il dolore.
Non le ha mai riguardate quelle foto. Quelle di quando aspettava Martina. Tutti quegli autoscatti frenetici dopo un mese, due mesi, tre mesi, quattro, nove, prima di correre in ospedale. E non le ha mai viste lui. Lui Valerio, il suo uomo, il padre di Martina, il padre di Dario che ancora non c’è, che nasce domani. Non le ha mai viste e non vedrà neanche queste, queste di Dario che cresce con lei. Valerio, il suo uomo.
Due settimane fa ha chiamato Simona. Ha sfogliato per giorni la rubrica del suo cellulare, l’agenda vicino al telefono, l’agendina di quando era ancora. Di quando era ancora Ilaria. Ilaria per gli altri. Perché oggi per gli altri lei non è Ilaria, per chi non ha voluto capire, per chi non ha voluto ascoltare, per chi non riesce a vedere che Ilaria è lei, proprio lei, quella di adesso. Quella di Valerio. Di Valerio, di Martina, di Dario. Quella che infine ha chiamato Simona. Non la vede da un secolo. L’ha sentita. L’ha sentita quando qualcuno le disse che era nata Martina. L’ha sentita un paio di altre volte.
Anche per dirle di Dario. No, qualcuno le ha detto di Dario. L’ha anche incontrata, una volta. Simona è una che ascolta e non giudica. O almeno non da consigli, non spreca parole. E con lei non servono tante parole. “Ho bisogno di un favore Simona, non ho altri a cui chiederlo. Tra un po’ nasce Dario e non ho con chi andare in ospedale”. Niente altro, a Simona basta.
A Simona basta come basta ad Ilaria. Come basterà a Dario, come è bastato a Martina. Che Valerio non c’è e non ci sarà. Che non c’è stato. Che non le ha accarezzato la pancia ogni sera, non l’ha vista crescere giorno per giorno, non ha visto e sentito quei piccoli cuori suonare ogni giorno un ritmo diverso, ogni giorno più vicino al suo. Non le ha stretto le mani quando è iniziato il dolore, non le ha asciugato la paura e il dolore, non le ha baciato le lacrime.
Non poteva.
Non poteva.
Non poteva.
Valerio ci ama. Siamo noi la sua vita. Valerio c’è. C’è sempre.
Sempre.
Sempre è
ogni volta
che
può.
Valerio ci sceglie ogni volta. Valerio ci sceglie. Valerio ci ama.
Ti stringo le mani Ilaria. Ti stringo le mani senza toccarle. So che non posso. Non posso toccarle mentre stringono il vuoto e l’assenza delle mani di lui. E non lo guardo. Non guardo tuo figlio che nasce, che urla, respira, poi piange, poi tace. Tace e non esiste, non esiste finché lui non verrà a vederlo. A sceglierlo. Conosco le regole. Conosco il tuo gioco.
Conosco il gioco di cui tu hai bisogno. Il gioco che ha scelto lui. Per sopravvivere alle regole. Che ha scelto di vivere. Perché ha scelto anche quelle Ilaria. Come ha scelto sua moglie e i suoi figli prima di incontrare te. Come ha scelto sua moglie e i suoi figli mentre sceglieva di avere anche te.
Simona sta arrivando. Io e Valerio abbiamo scelto di avere Martina. Non è capitata. E abbiamo scelto di avere Dario. Non è capitato. Lui c’è quando può. C’è sempre. Sempre è quando può. Quando è nata Martina ero da sola. L’ho scelto. Questa volta non ce l’ho fatta.