Le trasformazioni del sistema mafioso si possono registrare con l’avvento dei collaboratori di giustizia, i quali hanno messo in crisi “le regole”, “i codici”, i comportamenti e le modalità relazionali mafiose, rompendo, così, la confluenza originaria e orientando l’azione verso una maggiore frammentazione del sistema e differenziazione dallo stesso. Essi svelano i segreti, rompono i patti taciti ed impliciti.
Tale fenomeno, con la sua dinamicità, ha determinato l’incremento dei conflitti interni nelle famiglie e di conseguenza anche nell’organizzazione mafiosa, hanno determinato arresti e confische dei beni. Quest’ultime hanno creato un terremoto emotivo-economico alle famiglie originarie dei mafiosi, perdendo i propri beni è come se si perdessero le proprie radici, il proprio ground, il contatto con l’essenza naturale delle cose, emerge una sensazione di sospensione, di incertezza, anche di tradimento, di violazione della propria intimità, causando angoscia, ansia, paura.
Durante un gruppo di supervisione una collega discuteva il caso di una ragazza alla quale avevano arrestato il padre perché mafioso e confiscato i beni. Di questo caso mi colpirono le parole della ragazza, a proposito della confisca dei beni: “ci hanno tolto tutto, è vero che quello che avevamo era il frutto del comportamento mafioso di mio padre ma non tutto, alcune cose mio padre se le è guadagnate onestamente”.
In queste poche righe emerge il senso di angoscia legato alla perdita, alla separazione di quello che viene considerato scontato, sicuro, e che fa emergere sensazioni di insicurezza e sfiducia non solo in se stessi ma anche nei confronti del futuro. Perdendo tutto crolla il mondo di certezze e si sprofonda nell’ignoto, ciò che non si conosce genera paura e ansia.
Ma come gestire emozioni mai vissute prima, o quantomeno contenute e sostenute da un sistema forte?
Il nostro Organismo (corpo, mente, respiro) consente di gestire lo stress individuando nell’ambiente nuovi adattamenti “creativi” che consentono di gestire emozioni che altrimenti diventerebbero soverchianti e farebbero “impazzire”, tali adattamenti creativi possono essere, per esempio: attacchi di panico, disturbi d’ansia, disturbi psicosomatici, insonnia etc.
I disturbi inducono la persona a chiedere aiuto, e spesso tale aiuto viene dato dalla psicoterapia.
Paradossalmente, la psicopatologia, mette in crisi il chiuso sistema di comunicazione mafioso, in quanto, la relazione terapeutica impone un terzo interlocutore -esterno-, il terapeuta, appunto, nel sistema comunicativo mafioso. La psicoterapia viola ogni tradizionale legge interna dell’organizzazione «Cosa nostra», conflitto con i rigidi codici comportamentali della mafia: comunicazione libera e ricerca della verità soggettiva, riflessione su di sé e sul proprio ambiente, parlare delle proprie cose; ma soprattutto esperienza di
una relazionalità autentica, che consente di entrare in contatto con la propria funzione ES del Sè (bisogni primari, emozioni arcaiche) funzionale ad individuare, attraverso un processo di consapevolezza, quelle parti di sé da alienate e con le quali identificarsi per il raggiungimento di un senso dell’autonomia e differenziazione, riconoscendo se stessi in un nuovo e diverso ruolo nella società e riconoscendo il valore dell’altro diverso da noi.
La psicoterapia mette in discussione i codici istituiti, segreti di famiglia, dogmi, tutti aspetti di base del modo di essere mafioso e della sua psicopatologia.
La relazione terapeutica consente di far sperimentare al “mafioso” (intendendo in questo caso sia colui il quale è all’interno dell’organizzazione sia una persona vicina ad essa come un parente) un modo diverso di “stare” con l’altro, ma anche un modo diverso di vivere, sentire, orientare e gestire emozioni proprie con l’altro.
L’esperienza che il mafioso ha è strettamente legata all’enfatizzazione del senso d’appartenenza con il sistema, egli non ha esperienza di un IO, IO-TU, ma solo ed esclusivamente di un NOI.
A tal proposito, Lo Verso parla di “psichismo mafioso”, intendendo una matrice inconscia di pensiero che “in-forma” di sé molti aspetti della vita quotidiana. Ciò che sostiene l’identità del mafioso è un legame confluente di tipo fondamentalista con il “Noi-mafioso”, per cui o sei un mafioso o non sei nulla, non esisti. La psiche fondamentalista, infatti, non può essere messa in discussione. Avere una psiche fondamentalista significa non essere una persona, ma essere una sorta di replicante, di fotocopia del “Noi” (quello mafioso) che lo ha concepito. La relazione con il terapeuta sprigiona sensazioni, desideri, emozioni che rappresentano lo sfondo dei vissuti del soggetto e ciò consente di sperimentare elementi di novità che inducono un ri-pensamento, la messa in discussione, del NOI mafioso.
Ed è proprio partendo da questo messa in discussione del NOI mafioso si può ridefinire l’identità di ognuno, inteso come singolo individuo ma anche come società.
La poesia che citerò di seguito descrive in maniera quasi pittorica il processo terapeutico esaltando la bellezza della relazione terapeutica, grembo di tutte le relazione che nel qui e ora si dispiegano dando creatività ed energia a quelle future.
L’estetica della relazione terapeutica
All’interno della stanza di terapia ed attraverso quella che è la relazione terapeutica, credo che la chiave di volta che determina la cura sia proprio l’incontro tra la fiducia del Terapeuta nei confronti della bellezza organismica che conduce l’individuo verso se stesso, verso l’ Origine, verso ciò che è come sarebbe naturale che fosse e che capita che si disperda, ed il Paziente che porta all’interno della relazione i germogli di quella che sarà poi la propria personale fiducia organismica.
La bellezza, il valore estetico dell’incontro terapeutico, risiede proprio nella traità, nell’incontro…….nel potere della traità!!!
Fiducia nei propri sensi, nella propria bellezza organistica, fiducia nell’esperienza relazionale del contatto terapeutico che riporta successivamente ad una fiducia verso gli altri contatti.
E’ il valore estetico della relazione a renderla speciale, curativa, a rendere vivo e sotto gli occhi di paziente e terapeuta la straordinaria comunicazione tra corpo e spirito, inteso come la parte intima di noi.
Se è accessibile lo spirito lo diventa anche il corpo e viceversa, possono parlarsi, dirsi delle cose, prendersi sul serio…affidarsi l’uno all’altro…ascoltarsi.
Lo strumento sono i sensi, la parola e la relazione…
Ed è negli occhi del terapeuta che il paziente si specchia…e si vede…forse per la prima volta ma si vede..senza veli…senza ostacoli..realmente ..
La potenzialità di questo incontro risulta così essere esponenziale, dal momento che sblocca l’universo delle relazioni…dei contatti…delle situazioni…
Il processo ha bisogno di tempo…
Ma….La roccia ha forse mai chiesto all’acqua di sbrigarsi o rallentare nel levigarla?
Ciò è accaduto..come era scritto nella natura delle cose….
Abbandonarsi alla natura delle cose..abbandonarsi ai sensi..abbandonarsi all’estasi dei sensi per coglierne l’estetica…al pari della contemplazione estatica…
L’apogeo della bellezza sta dunque nella contemplazione dell’ energia intrinseca dell’organismo….
Ed è lì che capita che il terapeuta si trovi ad assaporare la sua propria e personale…estasi!
Dott.ssa G. Salamone
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it