Il simpatico film “terapie e pallottole” narra delle vicende di un capo mafioso che in preda ad una crisi esistenziale, chiede aiuto ad uno psicologo, il quale, si troverà invischiato in una guerra fra gang per poter risolvere i problemi del suo ingombrante paziente. Il culmine della vicenda si raggiunge quando lo psicologo viene costretto a dover sostituire il suo paziente, in una riunione fra boss mafiosi.
La trama del film sopracitato mi consente di introdurre una serie di articoli che trattano l’argomento “mafia” da un punto di vista psicologico. La scelta di descrivere, narrare e soffermarsi su tale tema nasce dal fatto che nella mia esperienza clinica e nel corso di quel viaggio meraviglioso che è la psicoterapia, inevitabilmente mi sono imbattuta nell’incontro con il campo mafioso nelle sue diverse sfaccettature e peculiarità.
In questo primo articolo cercherò di descrivere “la genesi”, il “ground” delle modalità relazionali mafiose, successivamente descriverò le ripercussioni cliniche date proprio dal sistema stesso.
Perché la psicologia si interessa di studiare, indagare e comprendere “la mafia”?
L’interesse che la psicologia ricava dal fenomeno mafioso è relativo al fatto che, grazie agli strumenti di cui essa dispone, è possibile comprendere il “come”, la mafia, sviluppa, innesta e radica delle peculiari dinamiche relazionali che influenzano non solo il sistema sociale ma anche i vissuti del singolo individuo, facente parte e/o non di tale sistema.
La psicologia è interessata a studiare la fenomenologia mafiosa in quanto non si occupa solo di comprendere e studiare il comportamento ma pone, maggiormente, l’accento alla dimensione relazionale.
La mafia è stata capace di produrre cultura, miti, idee; ha estrapolato alcuni valori cardine dalla cultura siciliana e s’ne impossessata, distorcendoli e strumentalizzandoli, si basa su radici profonde culturali, su una strumentalizzazione di valori per conseguire i suoi fini di potere e di denaro. Non a caso il gruppo mafioso, prima di essere etichettato con parole tipo: clan, cosca, banda, utilizzava il termine FAMIGLIA, in quanto, tale termine rafforza inevitabilmente il senso d’appartenenza tra i membri.
La “famiglia mafiosa” ha una struttura gerarchica ben definita e ciò consente ai membri d’avere la chiarezza dei ruoli, dei confini, di conoscere le regole del sistema, riconosce in essa il Patriarca, il Leader, il Capo. Tutto ciò rassicura, protegge, salvaguarda.
La peculiarità di tale sistema è quella di creare delle relazioni tra i membri regolate da modalità confluenti che enfatizzano il senso d’appartenenza, ove, l’esperienza del Noi, diventa il fulcro principale dei sentimenti di sicurezza, di “intoccabilità” e di inviolabilità. Il far parte di tale gruppo consente di far emergere sentimenti ed emozioni direttamente riconducibili al “sentirsi speciali” perché si è custodi di segreti, artefici di un potere che dà una certa onorabilità e rispettabilità. Il mafioso si sente il sistema, e non parte di un gruppo, perché egli non ha l’esperienza di un proprio senso del Sé, lui non ha bisogni propri, i suoi bisogni sono quelli della “famiglia”, si sente un prolungamento di essa, egli vive in una costante illusione di un confine comune per due realtà (la propria e quella del sistema mafioso), non vi è differenziazione tra il me e il non-me. Di contro, “la famiglia mafiosa” funge costantemente da “utero materno”, ovvero, permette al singolo, di ancorarsi, agganciarsi, senza perdersi nel caos dell’Altra Società, del mondo esterno, nella confusione dell’ambiente circostante. Tutto ciò permette all’individuo di sperimentare sentimenti direttamente riconducibili all’esperienza di contenimento, sicurezza e di integrità, non permettendo, così, all’angoscia di soverchiarlo, distruggerlo, di sentirsi senza un orientamento.
Tale sistema siffatto non permette la differenziazione, lo svilupparsi di una propria identità e di individuarsi, in quanto, il soggetto coinvolto non è capace di attingere alle risorse necessarie per gestire la separazione perché tale processo viene vissuto come tradimento, come rottura di un patto e ciò genera angoscia (lo svelamento di segreti). La ricerca della differenziazione, della propria individualità viene pagata a caro prezzo. Chi non aderisce pienamente alle regole, alle norme, ai codici della famiglia non è degno di appartenervi, quindi si deve allontanare, si deve eliminare. La relazione “mafiosa” non è assolutamente sana, nutriente perché l’intenzionalità che viene espressa all’interno di essa non è direzionata dal godimento dell’incontro con l’altro, proprio perché non si riconosce l’Altro come soggettività, ma, piuttosto, esclusivamente in due modi: come replicante del “Noi-mafioso” e/o come una “cosa” che, a seconda degli scopi criminali, può essere utilizzata a proprio piacimento, anche uccisa. Non a caso una persona estranea a Cosa Nostra, ma che collude con essa, è assolutamente sottomessa e sostanzialmente asservita ad essa per sempre. Tale modalità relazionale crea legami letali e annientatrici, satura il campo mentale, non permette lo sviluppo psicologico individuale, l’autonomia, la condivisione intima e relazionale di chi ad esso aderisce e, naturalmente, anche di chi lo subisce. Come ogni sistema, però, anche quello mafioso subisce una trasformazione, un’evoluzione, si trova ad affrontare, anch’esso delle transizioni, delle crisi, che inducono a dei cambiamenti. La mafia da un punto di vista antropo-psichico è in trasformazione, avverte Girolamo Lo Verso (2005), per nuovi problemi anche di tipo relazionale ed affettivo conseguenti a realtà recenti, quali la diffusione dei collaboranti di giustizia, conflitti interni nelle famiglie e nell’organizzazione mafiosa, arresti con confische dei beni, fine dell’immunità e dei legami istituzionali tradizionali.
Le ripercussioni psicologiche di questi cambiamenti a livello clinico, relazionale ed esperienziale verranno descritte nel prossimo articolo.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
Esperta in Psicodiagnosi Forense
Trainer di psicoprofilassi al parto: metodo Spagnuolo Lobb
Contatti: 338-9908067 e-mail: ire.gr@libero.it
mi complimento sempre per l’originalità e la ricercatezza degli argomenti da lei trattati, non le nascondo che nella prima metà dell’articolo stavo cominciando a storcere il naso per poi ravvedermi e concordare con quanto da lei scritto. Resto in attesa della seconda parte.