Il dolore sembra cancellare tutto. Ti prende, ti riempie, s’impossessa del tuo io. Diventa il tuo universo, fino a quando, dopo la sofferenza inizia il nulla.
Hai sofferto, pianto, urlato nel tuo silenzio. Hai aspettato che cessasse, per tornare a vivere, a pensare, a guardare intorno a te. Ma non sempre questo ‘ritorno’ ti permette di tornare ad essere padrone della tua vita, dimenticando quello che è successo e non vedendo quello che ti ritrovi intorno e che non vorresti vedere.
Francesco Paolo Oreste, il poliziotto barricadiero autore del libro “… mi son visto di spalle che partivo… – Tra scegliere e restare ho preferito il mare” (clicca qui per leggere l’articolo), è tra i finalisti del Concorso Letterario Nazionale “Giri di Parole”, indetto da Navarra Editore, con il suo racconto dal titolo “La rivoltata”.
Un breve racconto denuncia sui fatti di Terzigno e Boscoreale, dove le proteste per una discarica per milioni di tonnellate di spazzatura, ha portato un poliziotto dalla parte dei manifestanti: Francesco Paolo Oreste.
Come le altre opere arrivate alla finale del concorso letterario “Giri di Parole”, anche “La rivoltata” è un’opera inedita, che racconta una storia già vissuta ed esprime dissenso dinanzi scelte politiche che non tengono conto dei diritti dei cittadini. Primo fra tutti, il diritto alla salute.
Il Concorso Letterario, indetto da Navarra Editore, si concluderà il 15 settembre, quando verranno scelti i vincitori.
Ancora una volta, protagonisti del suo racconto sono lo Stato, la Camorra, la gente. Quella povera gente, che subisce ora la violenza della criminalità organizzata, ora la violenza di uno Stato che non comprende quelli che si son ribellati a quanti “si dividevano i trenta denari” per ogni tonnellata d’immondizia. Quei “ribelli”, contro cui lo Stato ha schierato l’esercito, la polizia, i carabinieri, la finanza, il genio civile, la protezione civile, i ministeri dell’ambiente, della difesa, dell’interno.
“Una sera – scrive Francesco Paolo Oreste – eravamo davvero tanti, così tanti che le strade erano occupate dai nostri corpi, così tanti che i camion della spazzatura, i camion dei veri camorristi, non potettero passare, dovettero tornarsene indietro dai veri camorristi. E questi si lamentarono con lo Stato.
Il giorno dopo un generale, furioso, disse che quello che stavamo facendo era assurdo, che quello che ora stava facendo lo Stato fino a quel momento lo aveva fatto la camorra, la camorra che aveva seppellito rifiuti e veleni nel parco e in ogni dove e nessuno si era mai sognato di protestare, Ora, invece, tutti a ribellarsi. Vigliacchi con la camorra, ribelli con lo stato. Assurdo.
Lo Stato che fa quello che fino a quel momento ha fatto la camorra. Una legge dello stato che trasforma in “tutto perfettamente legale” quello che prima era un reato commesso dei boss della camorra. E il popolo che si ribella. Aveva ragione il Generale, assurdo, il Generale Assurdo.”
Ma “La rivoltata”, è anche altro. È una storia di dolore. Di dolore lucido e tagliente, come solo certi dolori sanno esserlo.
Quando “giri di parole, baci e abbracci cominciano quando finisce la sofferenza e finiscono quando inizia il dolore. E il nulla.”
Un dramma personale, nel dramma collettivo. Nel silenzio di uno Stato, che diventa difficile distinguere dalla Camorra.
E Francesco Paolo Oreste sta lì. Al centro di un crocevia, dove Stato e Camorra sembrano perseguire gli stessi obiettivi, e dove dall’altra parte c’è la gente. La gente comune. La gente perbene, che oggi vede nel poliziotto barricadiero il simbolo di un NO detto alla Camorra, ma anche a chi come i camorristi si comporta.
Gian J. Morici
Sei grande Francè.