Se esiste una madre di tutte le rivolte, questa è internet.
Di quanto prezioso sia questo strumento, se ne sono accorti ormai tutti. Compreso il mondo della politica, che non riesce quasi più – e ci riuscirà sempre meno – a “governare” il pensiero della gente, orientandone le scelte.
Giorno dopo giorno, cresce sempre di più il numero dei gruppi che, a carattere tematico o per aree geografiche, utilizzano i social network per creare momenti di incontro e di confronto, scambiandosi opinioni e affrontando problemi che riguardano la società.
La politica, vede messa così in discussione la propria leadership, aggredita da cittadini che poco la volta invadono il territorio di politicanti il cui obiettivo è sempre stato quello di far incetta di voti, per assicurarsi una comoda poltrona.
Partendo a volte da un’azione di critica rivolta ai politici – e le motivazione certamente non mancano -, si passa a una fase propositiva spesso superiore a quella dei nostri più navigati amministratori.
Ma i social network, non sono soltanto le nuove Agorà, ma anche autentiche scuole di giornalismo, nelle quali si formano soggetti che per preparazione e proprietà di linguaggio, non hanno nulla da invidiare alle firme del giornalismo nostrano. Anzi, tutt’altro…
Oltre i gruppi, nei social network, come Facebook, si trovano anche singoli personaggi che finiscono con l’emergere rispetto la grande massa degli utenti, per quello che scrivono e divulgano nell’ambito delle proprie amicizie.
Tra i tanti, abbiamo deciso di pubblicare la nota di uno di questi soggetti, che pur rimanendo anonimo (Antica Tabaccheria), ci ha incuriosito per la preparazione mostrata e per le capacità espositive.
Con l’augurio che anche le più prestigiose firme del nostro giornalismo comincino a frequentare questa scuola/piazza virtuale, riuscendo magari a superare l’esame dei propri amici, vi proponiamo la nota di Antica Tabaccheria su “I pericoli della strada”:
Da tempo, con progressione parallela allo sviluppo economico e al degrado ambientale, è in atto in tutta l’Area del Mediterraneo un processo di riprogettazione del tessuto stradale e dei sistemi connessi volto a limitare i fenomeni di inquinamento e degrado idrico. I fenomeni connessi ai cambiamenti climatici in atto, lo scioglimento dei ghiacci, l’innalzamento della temperatura globale, i tornado in America middle-continentale, non escludono evidenti cambiamenti nell’area del Mediterraneo. L’abbassamento dei campi di pressione nell’emisfero settentrionale, a partire dall’ultimo decennio ha determinato il trasferimento dei fenomeni tipici delle piogge tropicali africani nel bacino del mare nostrum. Si può considerare interessata tutt’area meridionale del continente europeo. Il territorio agrigentino si trova oggi esposto, per queste e altre ragioni, a fenomeni di dissesto idrogeologico che potrebbero soffrire in un futuro non certo lontano e inimmaginabile, di un’accelerazione negativa legata all’aumento delle piogge. Le improvvise e tracimanti precipitazioni che si verificano nel periodo Maggio – Ottobre sono in grado di accelerare i movimenti di un territorio che sempre più velocemente frana a valle creando enormi danni. Sempre le stesse sono anche in grado di peggiorare questa situazione deturpando gli spazi e peggiorando drammaticamente la qualità della vita. Il dilavamento delle strade, piene di polveri, sabbie e residui organici polverizzati; dei tetti, con resti di piccioni e polveri accumulate dai venti; dei piazzali e giardini; ecc., con la portata di prima pioggia può essere paragonabile al liquame di fogna, tal quale. Esso si sparge su tutte le superfici attorno contaminando centri abitati, campi e complessi in cui spesso si svolge la vita di tutti i giorni.
L’incuria nell’attenzionare tali problemi porterà nell’immeditato futuro prossimo una forte perdita di risorse per la realizzazione di corrette opere di urbanizzazione e risanamento che TUTTA la città ha tanto bisogno e come i recenti crolli nel centro storico ci hanno fatto gridare.
E’ atteso infatti per il triennio 2011-2013 un picco delle precipitazioni nella nostra regione, come abbiamo visto già da questo inverno che potrebbe costringere ad affrontare problemi ed emergenze il cui potenziale danno è difficilmente valutabile con un rischio incredibilmente alto.
Abbiamo visto recentemente come gli interventi necessari al miglioramento delle condizioni urbane di Agrigento è necessariamente legato al finanziamento pubblico e particolarmente all’accesso a fonti di finanziamento europee. Abbiamo constatato che queste non posso essere raggiunte con semplici idee non supportate da adeguate analisi e progettualità. Per tanto sarebbe utile non sottovalutare gli allagamenti che si sono verificati negli ultimi mesi e che hanno portato ad un deterioramento della viabilità urbana e conseguentemente di tutti i problemi che già conosciamo sia in città che nei quartieri periferici. Si spera anzi che il processo possa velocemente entrare in atto ed essere affrontato sin da questo autunno. Un processo che deve convolgere sia gli Enti che gestori di servizi pubblici..e magari parte di quei 35 milioni che arriveranno per la rete idrica. Essendo questa sostanzialmente solo una nota di riflessione mi ripropongo di trattare in sintesi le principali misure che stanno adottando i Comuni italiani nell’affrontare tale necessità. Spero che questi raggiungano l’opinione comune e invitino ad eventuali riflessioni o denunce.
INTERVENTI DI MANUTANZIONE ORDINARIA:
Pulizia di tombini e griglie con macchine aspiranti. (Approfittiamo per ricordare che molti tratti di strada non hanno tombini e griglie e che la situazione del Viadotto Morandi può essere a rischio compromissione):
http://www.normanno.com/articolo.php?id=1288019781&t=Pulizia-di-tombini-e-griglie-la-soluzione-%C3%A8-lacquisto-della-macchina-aspirante
INTERVENTI STRAORDINARI E STRUTTURALI
Asfalto drenante (Ad Agrigento non c’è 1Km di asfalto drenante-fonoassorbente fotocatalitico..possibile che non ne abbiamo proprio bisogno?):
http://www.faidate360.com/Asfalto_drenante.html
Nuove tecnologie per fognature miste:
Il recente Dlgs 152/99, recente solo per data di adozione da parte dell’Italia, ha cercato di portare un po’ di ordine nella confusione in cui, in seguito ad un reiterato utilizzo non corretto degli Strumenti Legislativi, si era venuta a trovare la Normativa in materia di tutela delle acque da inquinamento, con uno sbandamento tecnico delle strutture di prevenzione e controllo.
Le varie tecnologie di trattamento finale delle acque inquinate, hanno determinato scelte sulla tipologia delle reti fognarie, con la preoccupazione comune dello smaltimento delle acque meteoriche, dannose per qualsiasi sistema di trattamento.
Per le fogne miste e separate, sarebbe meglio averle veramente separate; in ogni caso il dilavamento delle strade, piene di polveri, sabbie e residui organici polverizzati; dei tetti, con resti di piccioni e polveri accumulate dai venti; dei piazzali e giardini; ecc., con la portata di prima pioggia può essere paragonabile al liquame di fogna tal quale. Per questa ragione è positivo separare i rami fognari il più possibile, soprattutto per rendere più gestibile il servizio di fognatura, ed è comunque necessario prevedere sistemi che possano pretrattare le acque meteoriche in esubero, rispetto al rapporto di diluizione di legge, che di per sé tende a garantirne la non pericolosità, onde limitarne l’impatto ambientale nel corpo ricettore.
Certo che uno sviluppo urbanistico “riminizzato” (vedi termine di vocabolario), con abusi edilizi, periodicamente sostenuti da condoni, evasioni fiscali; lavoro in nero; ecc. oltre che a deturpare il territorio e a sconvolgere la qualità della vita, sottraggono risorse per la realizzazione di corrette opere di urbanizzazione e risanamento.
Entrando nel merito proprio di questa problematica va rilevato che:
- La maggior parte delle reti fognarie dei centri abitati, in particolar modo quelli costieri, risultato dello sviluppo di antichi centri abitati sorti alla foce di un corso d’acqua, diventato canale di scolo e porto canale, sono di tipo misto, spesso con il tratto finale costituito dall’antico corso d’acqua coperto.
- Molte condutture nei centri storici seguono il tragitto di strade anguste tra edifici abitati, strade che comunque sono spesso di grande comunicazione.
- Nelle vecchie reti le acque meteoriche dei tetti confluiscono nelle fosse settiche, qualora ve ne siano.
- Spesso le acque dei chiusini stradali vengono immesse nelle reti fognarie di acque nere, anche in presenza di reti separate.
- Sussiste per ogni tipo di rete il problema delle acque meteoriche.
- Per le reti miste il problema delle portate di pioggia sussiste per tutto il tempo delle precipitazioni e per il successivo periodo più o meno lungo di rilascio nei fossi delle acque in sovrappiù da parte di terreni.
- Per le reti separate il problema riguarda le acque di prima pioggia che dovrebbero essere stoccate e al termine delle precipitazioni rilasciate, con regime laminare, nella rete di adduzione ai sistemi di depurazione.
- In ogni caso lo sversamento delle acque meteoriche in eccesso, rispetto alla portata accettabile dall’impianto e/o al rapporto di diluizione prescritto dalla legge, comporta dei grossi problemi all’ambiente e vanifica tutti gli interventi di risanamento, se questo troppo pieno non viene opportunamente trattato prima dello sbocco nel ricettore finale con grigliatura e possibilmente dissabbiatura.
- L’introduzione di vasche di prima pioggia e sfioratori di piena calibrati tendono a risolvere in parte questa problematica, ma restano di difficile gestione e di effetto casuale per quanto riguarda le sostanze in sospensione grossolane, i depositi di condotte fognarie e le sabbie.
Per la risoluzione di queste problematiche si sono affacciati sul mercato nazionale una serie di prodotti di tecnologia anglosassone e la loro adozione in alcuni casi specifici ha ottenuto il plauso da parte della Commissione Tecnica Giudicatrice del Ministero dell’Ambiente, in sede d’esame per l’ammissione ai finanziamenti della L135/97.
Si va dalle pavimentazioni percolanti, ai nidi d’ape per l’immagazzinamento delle acque meteoriche sotto parcheggi ecc., agli sfioratori di piena a flusso calibrato con grigliatura e dissabbiatura, sia del troppo pieno che del flusso al trattamento di depurazione[1].
Queste tecnologie, accoppiate a sistemi di canalizzazione a trivellazione teleguidata, consentono di risanare i sistemi fognari obsoleti, con queste peculiarità:
- Mantenimento della rete esistente mista o separata.
- Minimo impatto ambientale in fase di esecuzione.
- Riduzione delle strutture per il trattamento e lo smaltimento delle acque meteoriche.
- Riduzione dei diametri delle condotte di adduzione alle centrali di depurazione, in virtù della preventiva separazione delle portate in eccedenza.
- Massimo rispetto dell’ambiente con scaricamento del troppo pieno di pioggia nel corpo ricettore col minimo impatto ambientale e apporto inquinante quasi nullo, grazie alla grigliatura fine e alla dissabbiatura.
- Possibilità di immagazzinamento delle acque di prima pioggia con la minima problematica gestionale, sempre in virtù della grigliatura e dissabbiatura preventive.
- Ridotte superfici impegnate per il contenimento delle strutture di troppo pieno, grigliatura e dissabbiatura.
Ma questa è tutta materia già conosciuta e ben recepita nella città di Rimini, dove ad esempio sta per essere completato un sistema di regolazione del flusso idraulico collettato in tempo di pioggia, con raccolta delle acque di prima pioggia e sversamento a mare della portata di troppo pieno delle acque meteoriche, eccedente il rapporto di legge con la portata di tempo secco, già grigliato e dissabbiato, con il minimo impatto ambientale e nel rispetto della salute del mare.
In queste condizioni lo scarico in mare così pretrattato di un troppo pieno con portata oltre 4/5 volte la portata media di tempo secco, calcolata per la massima utenza, è decisamente accettabile, anche perché è più sporco il dilavamento dei campi e delle strade che quello del troppo pieno di pioggia!.
Bisogna poi vedere se tutte le fogne, anche in tempo secco sono collegate, visto che la potenzialità degli impianti di costa è di circa 900.000 abitanti equivalenti, contro una presenza di punta di oltre un milione di persone!
Ci sarebbe inoltre da fare una disquisizione sulla opportunità o meno, dal punto di vista della gestione ambientale, della concentrazione degli scarichi in mega impianti, con impatti ambientali certamente molto più sensibili, in senso negativo, di quelli di impianti di medie dimensioni opportunamente distribuiti nel territorio.
Gli scarichi di: Pennabilli, Ponte Messa, Novafeltria, Pietracuta, Verucchio e Villa Verucchio, opportunamente depurati in loco, e magari con un trattamento terziario, oltre che poter essere riutilizzati in agricoltura e nelle attività produttive, escluse ovviamente quelle alimentari, costituirebbero una risorsa idrica rinnovata e manterrebbe il deflusso minimo vitale nel Marecchia, altrimenti ridotto a canale secco!
Vediamo ora nel dettaglio in cosa consistono i trattamenti terziari che ho poco sopra ricordato.
TRATTAMENTI TERZIARI DI AFFINAMENTO
L’acqua è una risorsa presente sul nostro pianeta in quantità limitata, continuamente riciclata e purificata dal ciclo idrologico, senza tuttavia essere una risorsa rinnovabile.
A livello mondiale si pone il problema di preservare un bene per le generazioni future nello spirito di solidarietà e nella prospettiva di accedere ad uno sviluppo sostenibile. Questo principio è stato recentemente recepito dalla legge n. 36/94 (nota come legge Galli) che impone una riorganizzazione del servizio idrico a scala di bacino idrografico, ma soprattutto dal D.Lgs 185 del 12/06/2003, che regolamenta il riuso delle acque reflue opportunamente depurate e affinate.
I problemi attuali che investono la risorsa riguardano:
- Svuotamento degli acquiferi, con aumento dei costi di pompaggio e intaccamento delle riserve profonde non ricaricabili in tempi brevi.
- Subsidenze, intrusioni saline lungo le linee costiere.
- Inquinamento delle falde superficiali di origine agricola (nitrati) e industriali.
Le previsioni su scala mondiale, in termini di bilancio idrico della risorsa, sottolineano come allo stato attuale non sia possibile garantire per le generazioni future una disponibilità di acqua in termini quantitativi e qualitativi adeguati, muovendosi verso un break-down ecologico.
In particolare si osservano pesanti problemi per i corpi ricettori, che già nelle condizioni attuali presentano delle portate inferiori al deflusso minimo vitale e impongono l’adozione di sistemi di protezione, consistenti nella realizzazione in loco ove possibile di trattamenti, completi di terziario di affinamento, per gli scarichi urbani, industriali, agricoli, in modo da riimmettere i reflui così innocuizzati lungo il corso del corpo idrico stesso, invece di perseguire la logica dei mega-impianti centralizzati.
Risultando gli approvvigionamenti idrici sempre più difficili, alle varie fonti di reperimento idrico dovremmo aggiungere il ricircolo delle acque depurate per non doverci trovare in condizioni di emergenza.
In questo quadro, i sistemi terziari di trattamento risultano essere una scelta obbligata nell’obiettivo di preservare la quantità e la qualità della risorsa idrica, minacciata dai problemi sopracitati: i limiti di legge attuali, anche i più restrittivi, non sono sempre sufficienti a garantire condizioni accettabili per l’ambiente, di fronte alle caratteristiche dei corpi ricettori, che presentano allo stato attuale una capacità di autodepurazione limitata.
Nel modo più generale, con il termine di trattamenti terziari vengono indicate tutte quelle fasi successive di trattamento[2], che subisce l’effluente di un impianto di depurazione dopo la chiarificazione finale, atte a migliorarne ulteriormente le caratteristiche, con l’obiettivo di:
- salvaguardare l’equilibrio biologico del corpo d’acqua ricettore e limitare i fenomeni di eutrofizzazione e quelli da “inquinamento di ritorno”, provocati dall’accumulo nel tempo di sostanze in sospensione e da sovraccarico nutrizionale;
- riutilizzare le acque reflue depurate per fertirrigazione e/o reimmissione in cicli produttivi industriali;
- rimpinguare le falde idriche sotterranee, ecc.;
In genere i processi di depurazione integrativi, oltre a produrre un effluente più limpido[3] e spesso immediatamente riutilizzabile, migliorano notevolmente i rendimenti e l’affidabilità complessiva di tutta la catena dei trattamenti di depurazione; hanno un effetto “tampone” che consente di sopperire a carenze temporanee ed irregolarità delle fasi di trattamento a monte, garantendo un refluo finale di qualità elevata e costante nel tempo.
Tutti i trattamenti terziari costituiscono sempre e comunque un “filtro” di sicurezza per la salvaguardia del ricettore finale: irrigazione corpi idrici fluviali e marini.
Nonostante tutti questi vantaggi, ben noti da tempo, i progetti per il riutilizzo delle acque depurate sono stati rallentati da una serie di fattori:
- l’eccessivo “taglio” chimico-fisico dei processi di trattamento terziari;
- la infondata presunzione di elevati costi realizzativi, non economicamente sostenibili;
- una erronea valutazione dell’effettivo apporto nutrizionale dei reflui depurati, con l’infondato timore che la fertirrigazione potesse turbare il mercato dei concimi, mentre invece le acque depurate costituiscono tutt’al più un “ammendante” e hanno inoltre la proprietà di mantenere humificato il terreno coltivato e favoriscono l’assimilazione dei concimi stessi;
- la incontrollabile sussistenza di una “barriera psicologica” che, senza alcun fondamento tecnico, tende ad escludere la possibilità di riutilizzo delle acque reflue urbane depurate anche se correttamente mineralizzate, stabilizzate e innocuizzate;
- la cautela da parte degli Organismi sanitari per la possibilità di un Carico Batterico Patogeno residuo;
- il basso costo, fino ad oggi, dell’acqua primaria per usi industriali, agricoli, civili.
E’ importante rilevare che quando il rapporto costi-benefici si è rilevato interessante, specie per utenti privati, non c’è stata alcuna esitazione nel ricorso ai trattamenti terziari di depurazione.
Con le tecnologie offerte dal mercato e già ampiamente collaudate è possibile realizzare dei terziari basati integralmente su processi naturali[4] che danno risultati in molti casi superiori alle aspettative per qualità dell’effluente finale e costi di installazione e gestione più che accettabili. Alcuni sono già stati realizzati con successo in scala reale; citiamo quelli più significativi realizzati e seguiti in prima persona:
- Lavanderie Industriali. Lavanderia Industriale Romagnola a Gradara (PS): impianto di trattamento realizzato nel 1982 per un effluente di circa 100 mc/giorno. – Centro Stiro, lavaggio di blue jeans, a Coriano (RN): impianto di trattamento realizzato nel 1985, in grado di trattare fino a 2400 mc/gg. – Lavanderia Candida a Coriano (RN): impianto di trattamento realizzato nel 1977/78, capace di trattare 500 mc/gg; si è realizzata la reimmissione nel ciclo produttivo dei reflui depurati biologicamente, con stabilizzazione aerobica in bacino aerato e successiva precauzionale correzione nell’esistente addolcitore chimico-fisico; infatti le acque di pozzo e di acquedotto risultavano eccessivamente cariche di sali ferrosi e di calcare e il riutilizzo delle acque reflue depurate si è dimostrato più conveniente del ricorso alle acque primarie.
- Trattamento di stabilizzazione in bacino di accumulo aerato per le acque di scarico civili del Villaggio Turistico di Città del Mare a Terrasini (PA), realizzato nel 1975 in grado di trattare fino a 1200 mc/gg di acque depurate ottenendo un refluo idoneo alla irrigazione delle aree verdi, indispensabili alla sopravvivenza dell’insediamento.
- Trattamento di microfiltrazione algale e stabilizzazione aerobica in bacino di accumulo per i reflui depurati del Villaggio Turistico di Cala Rossa a Trinità d’Agultu (SS), realizzato nel 1993, in grado di trattare fino a 600 mc/gg di acque per l’irrigazione delle aree verdi e dei giardini dell’insediamento;
- Trattamento terziario di microfiltrazione algale delle acque depurate del Consorzio industriale di Via Lunga a Crespellano (BO), realizzato nel 1990/91, in grado di trattare fino a 1200 mc/gg; il refluo finale, recapitato in un fosso di bonifica viene casualmente utilizzato in un allevamento di pesci, essendo in tempo secco l’unico apporto idrico del fosso da cui emunge l’ittiocultore.
- Impianto pilota in scala reale di microfiltrazione su terreno humificato a Gabicce (PS), realizzato nel 1992, con 5.000 mq di terreno nei quali viene immessa giornalmente una quantità di circa 250 mc/gg di acque in uscita dal depuratore comunale.
- Intervento di abbattimento dei nitrati e dei fosfati di falda superficiale all’Agrobiotech – Sacenno, Calderana di Reno (BO) – con lagunaggio aerato ad eutrofizzazione controllata, realizzato nel 1990, che ha prodotto un effluente finale idoneo per avannotteria, con ciclo biologico che partendo dai rotiferi, attraverso le dafnie, fino ai ciprinidi, in ambiente di stagno biologico, ha portato all’eliminazione totale dei nutrienti e degli inquinanti organici dell’acqua di falda ricca di nitrati e fosfati.
I costi indicativi dei trattamenti di tipo terziario, espressi in percentuale sul costo globale dell’impianto di depurazione, risultano essere i seguenti:
Tipo di trattamento terziario
Percentuale sul costo globale di impianto
Microfiltrazione algale
5%
Laghetto di inocuizzazione e stoccaggio
10%
Percolazione su terreno humificato
15%
L’impianto che applichi il ciclo completo primario, secondario a fanghi attivi e trattamento terziario fino alla percolazione su terreno humificato riproduce il ciclo integrale delle acque e può fornire un prodotto finale assimilabile all’acqua di sorgente.
Principi di fitodepurazione
Il processo di depurazione biologica delle acque mira ad abbassare il tenore degli inquinanti organici nelle acque mediante l’azione di agenti biologici. Il processo avviene spontaneamente in tutti i corpi idrici naturali e ne garantisce la capacità “autodepurativa”: negli impianti di depurazione si creano artificialmente condizioni che accelerano il processo e facilitano l’eliminazione dei residui. Sia in condizioni naturali che nei depuratori il compito principale nel processo è svolto dai batteri che, in presenza di ossigeno disciolto, trasformano gli inquinanti organici in biomassa batterica, sostanze minerali (principalmente fosfati e nitrati, i cosiddetti “nutrienti”) e anidride carbonica. E’ così assicurata la degradazione della sostanza organica.
La capacità “autodepurativa” di un corpo idrico dipende da molti fattori, ma in particolare dalla quantità di ossigeno presente. In condizioni naturali, la disponibilità di ossigeno presente nei corpi idrici non è però sufficiente per consentire la degradazione delle grandi quantità di sostanza organica contenute nei liquami di fogna. In un depuratore a fanghi attivi la degradazione della sostanza organica è resa più rapida ed efficace attraverso una continua ossigenazione dei liquami, la sedimentazione è facilitata dall’aggiunta di sostanze chimiche e la rimozione della biomassa batterica, che si accumula sotto forma di fango, è operata anch’essa artificialmente. Tutti questi interventi rappresentano “input” di energia e tecnologia che richiedono una accorta gestione.
Le tecnologie di depurazione naturale si basano sugli stessi principi della depurazione convenzionale (i processi chimici e gli agenti che li attuano sono gli stessi), riducendo però al minimo gli elementi “artificiali”, infatti:
- invece di creare vasche in cemento, gli ambienti dove avvengono i processi sono simili a zone umide naturali;
- per quanto possibile, il deflusso delle acque avviene per caduta;
- non si immettono nel sistema sostanze per favorire i processi depurativi e si riducono al minimo gli input energetici.
Il termine fitodepurazione è comunemente usato in Italia per tradurre il concetto di constructed wetland, ed un sistema di fitodepurazione è in pratica un ecosistema umido artificiale, in cui le varie componenti (piante, animali, microrganismi, terreno, radiazioni solari) contribuiscono alla rimozione degli inquinanti.
La fitodepurazione, benché rivolta alla soluzione di problemi concreti di abbattimento di carichi inquinanti puntiformi, occupa una vasta area di interfaccia fra l’impiantistica tradizionale e gli interventi genericamente detti di rinaturalizzazione o di ripristino delle potenzialità autodepurative degli ambienti naturali e costruiti.
Potenziamento delle capacità autodepurative dei corsi d’acqua, ripristino delle aree filtro golenali, valorizzazione delle potenzialità depurative di zone umide, marcite, stagni biologici a specchio libero e a flusso subsuperficiale, biofiltri per il recupero delle acque piovane, rientrano infatti fra gli interventi di fitodepurazione.
La “cultura” della difesa ambientale coinvolge una serie di professionalità interdipendenti tra loro che devono necessariamente trovare la stessa armonia operativa che la natura applica in ogni sua manifestazione non corrotta dall’intervento umano.
L’elemento che distingue questa operazione è il lavoro di gruppo omogeneo, caratterizzato da una consolidata competenza tecnica ambientale, che consente la soluzione di problematiche impiantistiche complesse, con una impostazione ecologica generalmente sconosciuta in campo tecnico, o meglio spesso prudenzialmente evitata, per non correre il rischio di produrre lavori che non hanno “quell’aspetto tecnologico” che caratterizza, secondo gli schemi che ci hanno insegnato, le opere di ingegneria.
Qui sta l’errore di fondo perché per la realizzazione di opere ambientali, se non ci si attiene ai canoni naturali, anche nella struttura e configurazione esteriore, si rischia di non ottenere il risultato prefissato.
Sulla base di questi presupposti, ad esempio, per la progettazione dell’impianto di recupero a scopi industriali delle acque reflue del Depuratore Fognario di Ascoli Piceno, 6.000 mc/d, con il processo della fitodepurazione è stato sviluppato un metodo di lavoro che:
- utilizza le più collaudate tecniche di depurazione, con soluzioni tecnologiche che potenziano i processi metabolici naturali degli Stagni Areati e della Fitodepurazione – Constructed Wetlands;
- è stato inserito in un ambiente degradato riqualificando l’alveo fluviale;
- la configurazione e il lay-out dei vari bacini di trattamento e della viabilità di servizio è tale da risultare un vero e proprio parco ecologico con piste ciclabili e anche un laghetto per pesca sportiva;
- i processi di trattamento sono tali da non costituire pericolo alcuno per la salute umana;
- le essenze della “Fitodepurazione” e le specie animali che si instaurano nei laghetti areati potranno essere oggetto di un percorso tematico ambientale.
In conclusione da una vera e propria “discarica spontanea – abusiva” l’intervento impiantistico oltre a recuperare una risorsa naturale, l’acqua reflua da riutilizzare negli usi industriali, riqualifica l’ambiente fluviale e crea un “parco naturale”, agibile ed educativo per una corretta cultura ambientale.
[1] La novità delle soluzioni, oltre che nella tecnologia avanzata di calcolo di rilascio idraulico del bacino sversante, consiste anche nel fatto che tutte le apparecchiature funzionano staticamente, sfruttando i vortici per la calibrazione delle portate e i flussi centrifughi e centripeti per la separazione delle sostanze in sospensione e delle sabbie. Semplici apparecchiature di integrazione, con assorbimenti inferiori a 1 Kw, rilasciano un grigliato compattato e sabbie sgocciolate.
[2] Successive al trattamento primario, costituito da: equalizzazione, dissabbiatura, grigliatura, sgrassatura, sedimentazione primaria; e al secondario, costituito da ossidazione biologica, nitrificazione, denitrificazione, chiarificazione finale.
[3] Accanto alla riduzione della torbidità, che è l’aspetto immediatamente più appariscente, con un trattamento terziario si ha contemporaneamente il miglioramento di altre caratteristiche del refluo finale, quali appunto il BOD, il COD, il carico nutrizionale di Nitrati e Fosfati, il carico batterico, il colore, ecc.
[4] I terziari chimico-fisici, oltre ad avere un rendimento molto basso riguardo all’abbattimento del carico dei nutrienti disciolti, comportano la produzione di fanghi residui classificabili come speciali, se non addirittura tossico-nocivi; non risolvono quindi il problema, ma lo trasferiscono in forma peggiorata, alle discariche. Entrando invece nel merito dei terziari di tipo “naturale”, le principali tipologie risultano: lagunaggi aerati, processi di microfiltrazione algale, trattamenti avanzati mediante percolazione su terreno humificato.
Con un sistema del genere Agrigento potrebbe fornire acqua pilita a 1/5 dei Comuni della Provincia..altro che bilanci in rosso!!
Questo Referendum lo abbiamo fatto per niente??
Non sarebbe una novità così grande per Agrigento oltre che necessaria. Gli antichi greci lo avevano capito prima di noi. Fu Terone a volere la Kolymbetra, per noi è una necessità.