La vittoria dei SI al referendum, che ha bocciato un ritorno al nucleare in Italia, ha d’improvviso fatto ricordare ai nostri governanti e ai loro fedeli sudditi la dipendenza dal gas russo.
Di quello che era l’asse Putin-Berlusconi, nodo cruciale dei rapporti con gli Stati Uniti, avevamo già scritto a partire dal 2008 – prima delle rivelazioni di Wikileaks – stigmatizzando il rapporto affaristico-politico che il presidente del Consiglio intratteneva con il premier russo.
Un rapporto chiaro, già a partire dalla partecipazione di Gazprom in SeverEnergia (60% Eni e 40% Enel). Eni ed Enel cedevano a Gazprom il 51% del loro consorzio Severenergia, che diventava così la prima società italo-russa ad operare nei giacimenti della Siberia occidentale, regione dove viene prodotto il 90% del gas.
Una partecipazione non di poco conto, vista l’aggiudicazione da parte del gruppo di alcuni assettt della Yukos, che permette di entrare in gioco nella produzioni di idrocarburi nella penisola dello Yamal. Per la vendita della società russa Yukos, l’Enel si è impegnata a corrispondere circa 852 milioni di dollari. Nel 2004, Tim Osborne, direttore della holding che raccoglieva i principali azionisti della società, riteneva inevitabile il fallimento della medesima, dato che doveva 27 miliardi di dollari al fisco, e ritenendo che ne avrebbe incassati solo 10 dalla vendita della Yugansk..
Un accordo a doppio binario, quello con Putin, che va dal contratto per la produzione di un super jet 100, al settore energetico Eni, (Enel Gazprom), alle commesse a favore di Finmeccanica nel settore delle ferrovie e degli elicotteri e nel settore delle comunicazioni. Un accordo che riguarda la realizzazione del gasdotto South Stream, destinato a portare in Italia il gas dei giacimenti russi, con un ampliamento della capacità da 31 a 47 miliardi di metri cubi di gas.
Quando i giornalisti provavano a chiedere di più sulle intese filorusse, Berlusconi abilmente svincolava e rispondeva: «Un passo avanti nella sicurezza energetica dell’Europa».
La ‘stampa di regime’, quella che adesso critica il NO sul nucleare in Italia, allora plaudiva all’intesa italo-russa. Non si accorgeva di alcuna dipendenza dell’Italia da Putin, ne vedeva, come poi provato dai cable di Wikileaks, il disappunto americano sulla triplice intesa Putin-Gheddafi-Berlusconi, sfociata nella guerra in Libia, che minacciava gli interessi del mondo occidentale nel settore dell’energia.
Che gli americani avessero interesse sul nucleare italiano, che sarebbe dovuto servire a rompere il sodalizio tra Berlusconi e Putin, non è certo una novità. Lo rivela il cablo segreto spedito a Washington, dall’ambasciatore americano che parla di ‘alti ufficiali’ dell’esecutivo di Berlusconi che avrebbero preso tangenti per comprare tecnologie e centrali francesi.
Un’ipotesi circostanziata – come narrato da l’Espresso -, messa nero su bianco in un rapporto del 2009 per il ministro dell’Energia di Obama, Steven Chu. Negli oltre quattro mila cablo dell’ambasciata americana di Roma la parola corruzione compare pochissime volte e in termini generici. Quando invece si parla delle nuove centrali da costruire, allora i documenti trasmessi a Washington diventano espliciti, tratteggiando uno scenario in cui sono le mazzette a decidere il destino energetico del Paese.
Ma veramente la scelta del nucleare, ‘sollecitata’ a colpi di mazzette, avrebbe tolto l’Italia dalle grinfie di Putin? Certamente no. Quella che per gli americani è una questione “prioritaria”che si muove verso due obiettivi: convincere i politici a concretizzare il programma atomico e far entrare nella partita i colossi americani del settore, evitando che i francesi abbiano per intero la torta del nucleare italiano, per gli italiani si trasforma nell’occasione di arraffare tangenti da più parti, senza trascurare il rapporto con i russi (Putin), verso i quali Berlusconi ha un ‘debole’.
In poche parole, avremmo avuto la capacità di acchiappare mazzette e continuare i nostri ‘sporchi’ affari con i russi, così come dimostrato dall’accordo Enel-Gazprom sulle centrali elettriche italiane. Se realmente l’Italia avesse voluto affrancarsi dalla Russia, perché non ha puntato sul gasdotto russo e non sul Nabucco?
Riguardo le intese tra società italiane e russe, e rispettivi governi, basti ricordare l’accordo del 26 aprile 2010, tra ENEL e la russa INTER RAO UES, per la cooperazione in diversi settori, tra cui lo sviluppo congiunto del progetto di una centrale nucleare. Un accordo firmato da Fulvio Conti, Amministratore delegato e Direttore generale di Enel, e Boris Y. Kovalchuk, Acting Chairman del Management Committee di Inter Rao Ues, in occasione dell’incontro tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. Un Memorandum of Understanding per la cooperazione nei settori nucleare, costruzione nuovi impianti ed innovazione tecnica, efficienza energetica, distribuzione, sia in Russia che nei paesi dell’Est Europa.
Agli italiani, non fanno schifo le tangenti franco-americane, ma neppure gli ‘interessi’ (chissà se Wikileaks tirerà mai fuori altri cable che parlino di tangenti russe…) di quel paese che, governato da un ex Kgb, il nostro premier non ha mai definito ‘comunista’.
Per ovvie ragioni, una certa stampa Libera, di tutto questo non scriverà mai…
Gian J. Morici