Il Nord ha detto no alle tendopoli, il Sud ha deciso di rispondere offrendo case. I sindaci di Bivona (3.984 abitanti), Cianciana (3.598), Santo Stefano Quisquina (5.034), San Biagio Platani (3.567) e Alessandra Della Rocca (3.126), 20 mila siciliani sparsi nella provincia di Agrigento, hanno stretto un patto di ferro per aprire ai migranti in arrivo da Lampedusa i loro borghi, i loro centri storici, le loro case. A un patto però: per un periodo transitorio e in cambio di lavoro.
IL PROGETTO. Il progetto sarà recapitato la prossima settimana sulle scrivanie del primo ministro Silvio Berlusconi e del ministro dell’Interno Roberto Maroni. «Un tetto per i disperati, è la soglia minima per la carità cristiana», ha spiegato Giovanni Panepinto, primo cittadino di Bivona e promotore del progetto, «abbiamo case sfitte e bellissimi borghi. Con un aiuto del governo possiamo dare una mano al Paese e all’Africa. In cambio però chiederemo agli immigrati un contributo lavorativo, anche solo mezza giornata nelle nostre aziende. Niente bivacchi, insomma, così non facciamo sentire inutili chi ospitiamo e rassicuriamo tutti».
PROGETTO DIFFUSO. Altri comuni intanto potrebbero aggregarsi. Come Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, che già ha offerto esempio di solidarietà offrendo tombe e loculi ai naufraghi. Il sindaco, Salvatore Petrotto, ha benedetto l’iniziativa dei comuni confinanti: «Ottima. Finora ci eravamo mossi in maniera autonoma», ha detto, «Noi, in passato, abbiamo già offerto case, 12 per precisione, ai disperati arrivati in Sicilia con le carrette del mare, ci hanno vissuto una cinquantina di persone per due anni, immigrati che dopo aver avuto lo status di richiedenti asilo politico si sono spostati. Erano alloggiati in appartamenti, monolocali e case private non abitate, offerte dalla nostra gente. Da 10 anni comunque disponiamo di un centro di seconda accogienza con una ventina di posti letto, occupati per lo più da sudanesi, eritrei, etiopi. Ma il patrimonio immobiliare è la nostra risorsa. E a buon prezzo. Qui un affitto costa duecento euro. Ecco perché abbiamo deciso di rispondere a un bando in scadenza ad aprile proprio per creare accoglienza nelle case. E le tendopoli? Mai, disumane».
«Tante Badolato crescono? Si vedrà», è stata la risposta dei sindaci agrigentini. «I nostri borghi si stanno svuotando e il penoso peregrinare degli immigrati a Lampedusa o sulle navi ci allontana dal senso di umanità. Con l’aiuto del governo possiamo offrire un servizio al Paese e avere anche una piccola ricaduta economica. Braccianti, case affittate, lavoro per le cooperative».
Badolato è diventato il Comune italiano maestro in solidarietà. A 20 chilometri dal piccolo centro, in provincia di Catanzaro il 26 dicembre 1997 si incagliò una carretta del mare su cui erano stipati 836 curdi in fuga dalle persecuzioni etniche. Il sindaco decise di accoglierli. Il risultato permise di ricevere turisti, e quindi più lavoro. E il ripopolamento di Badolato vecchia, su uno sperone – staccata da Badolato marina – e ormai ribattezzata come “il paese in vendita”, fatto di case vuote.
Una ricaduta, però, non duratura. È vero che Badolato ormai è diventato il paese simbolo dei curdi e dell’accoglienza, ma la maggior parte dei profughi hanno preferito spostarsi nel Nord Europa, specie in Germania. A Badolato vecchia è rimasto l’Ararat, il ristorante calabro-curdo gestito da un profugo. E il via vai di turisti non amanti delle rotte commerciali.
VENDOLA: VIA LE TENDOPOLI GHETTO. È questa la formula dell’accoglienza Sud. Un tema affrontato il 7 aprile anche da Vendola: «Il modello delle tendopoli è stato sconfitto sul campo, non ha senso accalcare migliaia e migliaia di persone in forme di reclusione in pochi luoghi. Questo modello deve essere smantellato e così nei prossimi giorni ci aspettiamo sia smantellata la tendopoli di Manduria», ha detto il presidente della Regione Puglia nell’incontro avuto con il ministro per i Rapporti con le Regioni, Raffaele Fitto e il commissario europeo Johannes Hahn sui fondi strutturali europei. Per Vendola l’accordo sull’immigrazione tra Governo e Autonomie locali «è il frutto del prevalere del buon senso».
Crisi umanitaria, quindi, non di ordine pubblico. «Noi riteniamo di aver dato questo contributo» ha spiegato Vendola «perché il Governo ha condiviso il fatto che bisogna adoperare l’articolo 20 del Testo unico per l’immigrazione consentendo quindi un permesso di soggiorno per protezione temporanea e questo è il modo per europeizzare la gestione della crisi umanitaria».
«Il Governo» ha proseguito Vendola «ha condiviso l’idea sulla quale ci siamo veramente battuti come leoni che bisognasse trasferire alla Protezione civile la cabina di regia che consente di sviluppare la gara della solidarietà da Roma fino a tutte le periferie, con l’associazionismo, il volontariato e i Comuni».
di Adelaide Pierucci
fonte: lettera43.it