Il prossimo 17 marzo si festeggia il 150° anniversario dell’unità d’Italia e, quindi, non si può non dedicare qualche rigo a questa fase della storia d’Italia che rappresenta certamente una delle pagine più gloriose.
Personalmente sono molto affascinato dalla storia dell’antica Roma e in particolare dalla fase dei Principi e quindi dalla biografia degli imperatori romani, che poi è una fase storica che rappresenta le radici della nostra storia, della storia d’Italia.
Ma debbo ammettere che la fase risorgimentale rappresenta una delle pagine più affascinanti, emozionanti e epiche della storia d’Italia per cui, considerato che ne ricorre l’anniversario non possiamo non dedicargli un tributo cercando, per quanto possibile, di ricostruire quel periodo storico.
Diciamo che tutto ciò che porterà all’Unità d’Italia inizia nel 1857 quando Giuseppe Mazzini si reca a Genova per incontrare Carlo Pisacane il quale stava organizzando un tentativo insurrezionale nel Mezzogiorno ed in particolare nel Regno delle Due Sicilia che passerà alla storia come la spedizione di Sapri dove il Pisacane troverà la morte mentre Giuseppe Mazzini verrà condannato a morte in Piemonte.
In quello stesso anno si apre a Bari la prima banca del Regno delle Due Sicilie dopo la Banca di Stato di Napoli.
Il 14 gennaio del 1858 un italiano, Felice Orsini che verrà ghigliottinato, organizza un attentato in Francia contro Napoleone III e a seguito di ciò Cavour per distendere i rapporti tra Francia e Italia in chiave antiaustriaca invia alla Corte di Napoleone III Costantino Nigra il quale tornerà in Italia con la proposta di istituire un Regno dell’Alta Italia e di un incontro con Cavour a Plombières dove, sostanzialmente verrà delineato un matrimonio tra Gerolamo Bonaparte, detto Plon-Plon, e la principessa Clotilde figlia di Vittorio Emanuele.
Il 30 gennaio del 1859 viene celebrato il matrimonio tra Clotilde e Gerolamo Bonaparte, viene concluso l’accordo tra il Piemonte e la Francia in funzione antiaustriaca e nel marzo di quello stesso anno affluiscono in Piemonte circa 20.000 volontari agli ordini di Giuseppe Garibaldi comandante del corpo dei Cacciatori delle Alpi.
Il 29 aprile di quello stesso anno l’Austria dichiara guerra a Piemonte cominciando l’avanzata nel tentativo di mettere in ginocchio il Piemonte prima dell’arrivo di Napoleone. Ma lo fece senza convinzione poiché pensava che la Prussia sarebbe scesa in campo e che la guerra si sarebbe conclusa nel Reno per cui a seguito dell’esitare dell’Austria Napoleone giunse in Piemonte, assunse il comando vincendo la battaglia contro gli austriaci.
L’imperatore Napoleone entrò a Milano insieme al Re Vittorio Emanuele in un ingresso trionfale che ricordava quello del suo grande zio.
Dopo una serie di battaglie che videro quali lo scontro di Montebello, la battaglia di Varese e di San Fermo vinte da Garibaldi, lo scontro di Magenta, le battaglie di Solerino e San Martino, l’8 luglio vi sarà l’armistizio tra Napoleone e l’Austria che cederà la Lombardia alla Francia che a sua volta la cederà al Piemonte. Successivamente anche la Toscana, dopo avere cacciato definitivamente il granduca Leopoldo chiede l’annessione al Piemonte. Firenze, Parma, Modena e Bologna costituiscono una lega militare con Garibaldi mentre in Romagna vengono indette le elezioni e dichiarato decaduto il potere temporale dei papi.
Il 10 novembre del 1959 viene firmata a Zurigo, alla conferenza di pace, la pace tra il Piemonte e l’Austria.
Quello stesso anno muore Ferdinando II di Borbone succedendogli sul trono di Napoli Francesco II.
Ferdinando II aveva un modo tutto singolare di regnare, il suo modello non era quello di un Re assoluto ma di un Patriarca, la sua politica estera era quasi inesistente sebbene molti storici lo danno asservito ai voleri austriaci in verità pare che nemmeno con essi avesse un buon rapporto poiché tendeva sempre più all’isolazionismo.
Ferdinando ebbe due matrimoni e dal primo nacque Francesco che gli succedette al trono. Ma Francesco, come raccontano gli storici, era un debole e di conseguenza si indebolì anche il Regno.
In più di una occasione sia Vittorio Emanuele che Cavour, per interposta persona, inviarono una lettera a Francesco di Borbone affinché si dividesse la penisola in due potenti Stati, quello del Sud e quello del Nord con due politiche ben coordinate e seguite. Ma Francesco rifiutò.
Tra il 3 ed il 4 aprile del 1860 scoppia a Palermo una rivolta che fu facilmente sedata dalle forze borboniche. In Sicilia l’aristocrazia, aiutata anche dalla borghesia del tempo, era riuscita a persuadere le masse popolari che i loro guai provenivano dai Borboni, i baroni avevano convinto i contadini che non erano loro ad affamarli con il gabellotto ma era colpa del fisco di Napoli.
Il moto unitario sviluppatosi tra il ’59 ed il ’60 in tutto il resto d’Italia e conclusosi con l’annessione di Emilia e Toscana aveva rafforzato i sentimenti filopiemontesi dei siciliani e chi più di tutti incarnava tale sentimento e quindi questo rivolgimento popolare era La Farina, uomo legato a Cavour, il quale manteneva i contatti con i comitati siciliani per manovrarli in senso moderato e dirigere l’azione rivoluzionaria che partiva dal Piemonte.
Chi invece era meno moderato e cercava di convincere La Farina a scatenare insurrezioni popolari era Francesco Crispi, avvocato di Ribera, cresciuto nelle cospirazioni, di opinione democratiche e repubblicane ed amico di Giuseppe Mazzini.
Ma La Farina che lo detestava per motivi di rivalità respinse il suo piano e allora Crispi si rivolse a Garibaldi il quale dopo una serie di tentennamenti, dovuti anche alla opposizione di Cavour, che non aveva a cuore Garibaldi in quanto amico di Mazzini ma anche perché, pensava che si fosse fatto strumentalizzare da Vittorio Emanuele contro di lui, Garibaldi si decise ed il 5 maggio del 1960 si imbarco su due piroscafi, il Piemonte e il Lombardo, in direzione Sicilia. La famosa spedizione dei Mille anche se in verità pare fossero 1088 più una donna, Rosalia Montmasson moglie di Francesco Crispi.
L’undici maggio sbarca a Marsala ed il 20 luglio, dopo una serie di battaglie epiche, conquista la Sicilia sbarcando poi il successivo 6 agosto in Calabria dove vengono occupate Catanzaro e Cosenza per poi giungere a Salerno.
Nel frattempo Francesco II lascia Napoli e si rifugia a Gaeta mentre Garibaldi arriva proprio a Napoli in treno e l’8 settembre la marina napoletana si fonde con quella piemontese dando vita così alla Marina Italiana.
Nel frattempo il 18 settembre i Piemontesi, sotto il comando dei generali Fanti e Cialdini, conquistavano l’Umbria e le Marche.
Il 1 ottobre del 1960 il Parlamento di Torino vota per l’annessione al Piemonte del regno delle Due Sicilie e nello stesso giorno i borbonici perdono la battaglia di Voltuno contro gli uomini guidati da Garibaldi.
Il 12 ottobre anche la Sicilia con un plebiscito, vota l’annessione. I votanti furono circa il 75% con il risultato che circa 430.000 furono i si e solo circa 700 i no.
Il 26 ottobre vi fu lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele in quel di Teano anche se in verità pare che l’incontro non sia stato proprio a Teano bensì a Taverna di Catena e pare anche che l’incontro tra i due non fosse stato così affettuoso come viene raffigurato sugli affreschi ma molto più freddo e distaccato forse dovuto anche alla presenza, a seguito del Re, di Farini e Fanti cioè due fra gli uomini che più odiavano Garibaldi e che Garibaldi odiava di più.
Garibaldi chiese al Re di poter partecipare con i suoi uomini all’attacco contro le ultime resistenze borboniche ma il Re rifiuto dicendo che i volontari dovevano riposarsi ma in verità non voleva che Garibaldi partecipasse al trionfo dell’ingresso a Napoli.
Da quel momento Garibaldi e i suoi uomini, che avevano regalato un Regno a Vittorio Emanuele, furono da questi abbandonati ed isolati tant’è che il 8 novembre 1960 l’unico giornale a dare la notizia della partenza di Garibaldi per Caprera fu l’indipendente di Alessandro Dumas.
L’ingresso di Vittorio Emanuele a Napoli non fu dei più fortunati, perché la forte pioggia rovinò la festa e i Napoletani, che erano abituati ad un atteggiamento molto più popolano dei Borboni, rimasero delusi da quello eccessivamente distaccato di Vittorio Emanuele tant’è che dopo poco tempo cominciarono a gridare “Viva Franceschiello” riferendosi all’ultimo Re Borbone, spingendo il Ministro dell’Interno dell’epoca, Liborio Romano, a scatenare la polizia contro tali manifestazioni.
Nel gennaio del 1961 Vittorio Emanuele rientra a Torino e nel frattempo Cavour avviò le operazioni politiche per l’unità e predisporne le strutture.
Nell’ottobre precedente aveva fatto approvare una legge elettorale che portava le circoscrizioni da 30 a 50.000 abitanti per ridurre il numero dei deputati. Non si fidava di quelli meridionali.
La legge elettorale era quella che oggi noi chiamiamo collegio uninominale in cui ogni collegio eleggeva il candidato che in modo assoluto prendeva più voti e a votare avevano diritto solo gli uomini che avevano compiuto i 25 anni di età e che pagavano almeno 40 lire di imposta allo Stato.
Era una legge che penalizzava fortemente il meridione perché limitava il corpo elettorale a circa il 2% della popolazione ed in questo 2% il nord la faceva da padrone poiché le condizioni economiche più agiate consentivano di avere una fetta maggiore di corpo elettorale.
In quell’anno Cavour ebbe un grande successo elettorale e con la definitiva capitolazione di Francesco di Borbone fu presentata la legge che recitava che “Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e i suoi successori il titolo di Re d’Italia e fu oggetto di scontro tra Mazzini e Cavour poiché il primo avrebbe voluto apportare un impronta più repubblicana alla nuova Nazione.
Il 17 marzo del 1961 Vittorio Emanuele II viene proclamato Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della Nazione.
Nella stessa data negli Stati Uniti d’America veniva proclamato il 16° Presidente, Abramo Lincoln.
Questa è molto brevemente la storia dell’Unità d’Italia o almeno la storia ufficiale. E si è sempre saputo che la storia la scrivono i vincitori.
Certamente, l’unità d’Italia si deve ad un grande uomo di Stato quale fu Camillo Benso conte di Cavour, ad un grande cervello quale quello di Giuseppe Mazzini e ad un grande uomo d’azione quale fu Giuseppe Garibaldi.
Come tutte le fasi storiche, anche quelle più gloriose, il Risorgimento italiano non avvenne senza pecche o lacune ma fu certamente una fase storica moderata in cui gli italiani, da nord a sud, compresi gli odierni padani, sentirono forte il sentimento di una Italia unita.
Certamente la prima fase dell’unità fu caratterizzata da una forte impronta classista in cui le masse popolari e anche medio borghesi, specie quelle meridionali, furono emarginate dal cuore dello Stato e solo parecchio tempo dopo, attraverso quell’operazione che verrà chiamata “trasformismo” l’integrazione fu estesa, ma con molta cautela e lentezza, anche ai ceti borghesi e con Giolitti anche alle masse popolari.
L’Aristocrazia ed i moderati del nord e, quindi le classi alto borghesi avevano fatto lo Stato e, quindi, l’avevano organizzato a proprio favore e a proprio piacimento ed era uno Stato poco attento alle classi medio basse e alle richieste delle masse popolari. E’ la stessa storia dei nostri giorni soltanto che è iniziata 150 anni fa.
Questa oligarchia chiusa porto alle sommosse popolari e quindi alla sinistra al potere, ma una sinistra politicamente debole e soprattutto, come sempre litigiosa, che favori l’avvento del ventennio fascista fondato proprio da un ex uomo di sinistra.
Ma questa è un’altra storia.
Cordialmente
Avv. Giuseppe Aiello
aielloavvgiuseppe@libero.it
cell. 3389622713