Oh, guardatevi dalla gelosia, mio signore. È un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre. Beato vive quel cornuto il quale, conscio della sua sorte, non ama la donna che lo tradisce: ma oh, come conta i minuti della sua dannazione chi ama e sospetta; sospetta e si strugge d’amore!(Atto III, scena III: Iago ad Otello) Shakespeare
«VENITE.il mio ex fidanzato mi ha accoltellata». Un filo di voce, la bocca impastata dal dolore e dall’alcol, Mary Elizabeth M. T. è riuscita a dare l’allarme al 113 mentre il sangue le scendeva dalla fronte, dalle guance, dall’avambraccio. Poi è crollata a terra, il respiro pesante, ad aspettare i soccorsi. Accanto, sul pavimento, la figlia di 2 anni – avuta da una precedente relazione – che strilla. «È stato Jonathan, l’avevo già denunciato», conferma Mary Elizabeth prima di perdere i sensi. Viene trasportata all’ospedale, operata per suturare quella mezza dozzina di fendenti, ferite non profonde perché bloccate in parte dalla resistenza della ragazza. Coltellate per uccidere. La gelosia di Jonathan che passa dalle parole alle mani, quando viene arrestato ammette: Ero stato a pranzo da lei, volevo provare un’ultima volta a convincerla a tornare insieme.
ARLUNO – Hanno cominciato a litigare, poi lui ha perso la testa e l’ha presa a pugni in faccia. Poi ha cercato di strangolarla, infine l’ha buttata seminuda fuori dall’auto e l’ha abbandonata morente in un parco. L’agonia di Monica Savio, operaia di 36 anni, residente a Vittuone e madre di un bimbo è durata poco. Lui, grafico di 28 anni, è stato arrestato e ha confessato. Era oppresso dalla gelosia della sua compagna, una donna di otto anni più grande di lui, con la quale sembra avesse una relazione molto tormentata.
Questi episodi di cronaca, diversi per il luogo dove viene messa in scena la tragedia, diversi per i personaggi e diversi per l’epilogo delle due vittime (la prima riesce a salvarsi ma la seconda muore), hanno un comun denominatore la gelosia, incontrollata, violenta, devastante dei propri partner. Una gelosia accecante, incapace di rispettare i confini tra Sé e ‘Altro e soprattutto incapace di gestire le proprie emozioni che consentono di tollerare la separazione.
Freud distingue tre tipi di gelosia:
· Normale: che è presente in tutti gli individui;
· Proiettata; è un sentimento molto forte e a volte immotivata;
· Delirante; nei casi particolarmente gravi, ovvero, è propria di quelle persone che hanno un vero e proprio scollamento con la realtà.
Ma nei casi precedentemente narrati i protagonisti, gli assassini, i violenti, che tipo di gelosia mettono in campo nella relazione con le loro partner?
A mio avviso, e per come i fatti vengono riportati dalle cronache, credo che i soggetti che hanno messo in atto un comportamento tanto violento non sono in grado di gestire le proprie emozioni, le separazioni, non tollerano la distanza emotiva dell’altro, e per riuscire a gestire un vissuto angosciante utilizzano la gelosia tipo proiettivo.
Cosa significa, quindi, gelosia proiettata?
I soggetti che nella relazione duale mostrano una gelosia proiettiva hanno un vissuto confuso, poco chiaro delle emozioni proprie, in quanto, nella loro esperienza, tali emozioni sono state sempre disconfermate dalle figure di riferimento (caregiver), cè un fraintendimento del loro mondo interiore. Hanno avuto un genitore che li ha confusi sull’appartenenza delle loro emozioni, cioè, il genitore ha dato delle definizioni sul bambino che non corrispondeva al suo vissuto esperienziale delle emozioni, es: un bambino mentre gioca lancia un oggetto per vedere cosa succede nell’impatto con il pavimento, la mamma osserva e subito dopo esclama “ti voglio bene anche se sei arrabbiato”, ma il bambino non è arrabbiato. Il genitore non rispetta l’esperienza del bambino. Il bambino non capisce che quello che sente appartiene a sé o all’altro, egli vive in una condizione abituale di “disconferma” delle proprie emozioni, non reagisce nell’immediato ma reagirà in futuro, da adolescente-adulto, con rabbia. Rabbia che spesso prende forma come gelosia che è legata all’angoscia di essere abbandonati e per combattere questa condizione e per evitarla, la persona metterà in atto l’unico adattamento creativo possibile quale l’aggressività.
Proust dice: “la gelosia altro non è che un inquieto bisogno di tirranide applicato alle cose d’amore”.
La perdita dell’oggetto d’amore diventa insopportabile perché emergono tutte le insicurezze, l’angoscia abbandonica fa sì che il soggetto proietta (mette nell’altro le proprie emozioni) nell’altro le emozioni negative in quanto diventa più facile gestirle (è l’altro arrabbiato non io). La gelosia non fa altro che riproporgli la mancanza della chiarezza genitoriale, fa emergere l’imbroglio originario, e se non riusciamo a provare fiducia verso chi ci ha generato come facciamo a fidarci degli altri (s)conosciuti? Tali persone cercano in ogni legame sentimentale quella fiducia che avrebbero voluto provare, sono così angosciati da questo bisogno di fiducia che sono spinti sempre a fantasticare di essere abbandonati dai loro partner.
Hanno una difficoltà a tollerare l’ambivalenza dell’oggetto d’amore, ovvero, il proprio partner dev’essere o cattivo o buono, non vi possono essere sfumature, non può essere buono e cattivo nello stesso momento. La condizione amorosa li rende maggiormente precari e in disequilibrio perché si mette in discussione l’intero assetto esistenziale.
In conclusione, questi soggetti quando avvertono un disagio interiore in relazione al proprio partner ricorrono al disprezzo, e ciò è dovuto al fatto che sono incapaci di identificare accuratamente i propri sentimenti e di verbalizzarli non riuscendo, quindi, ad utilizzare l’altro come fonte di aiuto e conforto.
Dott. Irene Grado
Psicologa-Psicoterapeuta della Gestalt
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