di Marco Padùla
Il precariato e lo sfruttamento lavorativo dei giovani è un argomento tornato di recente alla ribalta con la campagna della CGIL “Non più disposti a tutto”.
Ma oggi le tipologie di giovani precari, sfruttati e maltrattati dal mondo del lavoro sono tantissime.
Alziamo il velo sullo sfruttamento che avvocati e studi legali operano nei riguardi dei praticanti, sfruttamento diventato ormai sistematico nonostante le disposizioni del codice deontologico. Un fenomeno massiccio sotto gli occhi di tutti, diventato consuetudine e accettato passivamente, di cui si parla sempre troppo poco.
Ma cosa accadrebbe se per un giorno, per una settimana, per un mese i praticanti non fossero più disposti a tutto? Se lo fossero tutti insieme e nello stesso momento?
Vuoi diventare avvocato? Vuoi difendere i diritti dei soggetti, a prescindere se si tratti di persone o aziende? Dimentica i tuoi di diritti, almeno per una decina d’anni.
Ebbene sì, la sola Laurea in Giurisprudenza, se vuoi fare l’avvocato, a nulla vale. Deve essere seguita da due anni (4 semestri consecutivi) di pratica forense fatta presso uno studio legale con determinati requisiti. E fin qui nulla di strano, è opinione diffusa nel settore che tutto ciò sia più che normale.
Difatti uno studente, laureatosi presso una Università Pubblica Italiana, poco incline già di suo alla pratica intra-universitaria, scarse cognizioni avrà sul piano pratico, con tutto ciò che inevitabilmente ne consegue.
Palazzi di Giustizia, Ufficiali Giudiziari e qualsiasi altro Ente appaiono come “spaventosi mostri” che vanno affrontati, per lo meno all’inizio, con un’ottima guida che inserisca il praticante nel contesto, spiegandogli man mano i vari meccanismi.
Peccato però che nella maggior parte dei casi non funziona così; o meglio per i più fortunati (coloro i quali riescono a fare tutto ciò accanto ad un parente o amico) il tutto potrebbe risultare più piacevole e stimolante; i guai sono per tutti gli altri. Questi ultimi diventano “prede” dei loro “Dominus”.
Vari sono i modi per trovare un avvocato disposto a far espletare pratica forense: vi sono anche degli elenchi predisposti dai diversi Tribunali per far incontrare domanda ed offerta. Una volta trovato -dopo una serie di adempimenti economico-burocratici- lo studio legale il neopraticante si ritrova iscritto in un registro apposito istituito, di solito, da ogni Consiglio dell’Ordine.
Ora il giovane si aspetterà di partecipare attivamente alla preparazione, istruzione e studio di una causa, ad esso affidata da un cliente, ed invece si ritroverà nel girone dei praticanti avvocati, costretti ad andare avanti indietro, su e giù, a fare qualcosa che al capo non và più di fare. Spesso si tratta del lavoro più “sporco”, che comporta estenuanti file, continui cazziatoni e innumerevoli multe per parcheggi in doppia fila. Ed anche in tutto ciò, con molta benevolenza, non vediamoci nulla di irrazionale.
Ma vogliamo parlare di ore di attese davanti ad un portone con 0 gradi o con 40 gradi? Vuoi perchè il tuo capo, non ti ha ancora dato una copia delle chiavi, vuoi perchè lo stesso ti ha mandato a recapitare un documento ad un suo collega per niente puntuale.
Interminabili giornate di 15 ore lavorative, in vista di scadenze, senza neanche un “per favore” o un “grazie”?
I più fortunati, nelle varie trasferte, ci guadagnano un caffè o un succo di frutta. Neppure un centesimo-euro. Molti legali contesteranno che essi ai loro collaboratori danno un cospicuo rimborso spese: niente di più falso, poiché il più delle volte con quei soldi non ci si paga nè l’autobus nè, tantomeno, la benzina se si è automuniti. Eppure il codice deontologico all’art. 26 esplicitamente prevede: “L’avvocato deve fornire al praticante un adeguato ambiente di lavoro, riconoscendo allo stesso, dopo un periodo iniziale, un compenso proporzionato all’apporto professionale ricevuto”.
Il codice parla di compenso proporzionato al lavoro e non di rimborso spese. Per molti anche il rimborso rappresenta un’utopia, i più furbi scroccano pure gli spiccioli in più per una notifica, una marca da bollo o una fotocopia fatta fuori dallo studio. Dimenticandosene!
Pochi studi danno la possibilità di far pratica part-time in modo da consentire al giovane di trovare un lavoretto per ammortizzare le spese vive che comunque ha: nella maggior parte dei casi o si offre la massima disponibilità o non se ne fa nulla.
Quanto detto rappresenta solo una minima parte di ciò che può accadere inseguendo questa professione.
E’ una breve sintesi delle innumerevoli difficoltà che incontra un giovane che ha intrapreso tale strada, tratta da una serie di esperienze che accomunano, più o meno, tutti in questo particolare ambito.
Molti laureati, spinti da una forte passione, continuano imperterriti a perseguire il loro sogno anche se umiliati, martoriati, forse perchè non vogliono gettare la spugna, forse perché, se si guardano attorno, si rendono conto di quanto poco altro ci sia da fare in giro. Spesso è molto più difficile, pur avendo una Laurea, anche accedere alle prove di un qualsiasi concorso.
Probabilmente è errato fare di tutta l’erba un fascio, e sono certo che esistono degli studi legali con a capo dei professionisti veri e seri, ma – detto tra noi – scarseggiano in rapporto alla grossa mole di laureati in Giurisprudenza che sfornano le Università italiane.
Questo tipo di precariato è reso legale illegalmente perchè, il più delle volte, si protrae dopo i due anni.
E’ proprio il caso di invocare una moderna, equa e radicale riforma di questo mortificante sistema tutt’ ora comunemente consentito e supinamente accettato.