Salve Regina – di Sara Milla

La campagna sembrava una chiesa. La volta del cielo si chinava grigia sulla testa dei due contadini, padre e figlia, e gli alberi li circondavano, come colonne. Lui dissotterrava qualcosa, con la sua pala arrugginita. Lei era immobile nel freddo. Guardava la buca aperta nella terra dura e aspettava. I tuoni scandivano il tempo, i corvi stavano silenziosi, di guardia. Finalmente raccolsero qualcosa e lo infilarono in un sacco. La bambina fissò lo sguardo sull’involto, poi se lo caricò sul petto, e insieme si avviarono attraverso la terra nuda e spaccata dal freddo, al casolare. La pioggia li benedice e avvolge la casa, la oscura e insieme la illumina. Il padre entra e la bambina va verso il porcile, siede su una carretta con il suo sacco e guarda l’orizzonte dove rintocca il temporale. Le mucche sparse nel fango camminano lente intorno, e la ignorano, e non sentono il vento, e muggiscono invano alla campagna. Il casolare non ha quasi più l’intonaco, la porta  è lercia, alcune finestre sono chiuse da mattoni, per renderle inaccessibili al freddo e alla luce. Intorno non c’è che una piatta campagna e davanti alla casa si raccolgono pozze d’acqua nei leggeri avvallamenti. Lei ha i capelli corti, un vestito di lana sui pantaloni infilati negli stivali e una vecchia maglia larga che la ripara. Dal suo trono controlla la porta e vede arrivare un uomo. Allora la bambina scende dal carretto e si avvia sotto la pioggia, raggiunge un bosco spoglio, a terra non ci sono che foglie marce e legni inservibili per l’inverno, zuppi di pioggia. Il viottolo a malapena si percepisce, lei avanza con il suo gatto, estratto dal sacco, rigido come una statua di legno. Non gli parla, era una volta morbido, ma non importa. E’ buono ora, e le sta tra le braccia, freddo. Si oscurano il bosco e l’aria, si addensa la sera e non lontano si indovina la luce di un’altra casa, e la musica giunge dai vetri e dal silenzio. La pioggia tace. Un uomo inchioda assi alla finestra e lentamente, con metodo, si chiude al mondo.

Lei si sporge verso un’altra finestra, all’interno alcuni uomini e donne ballano, infagottati, si abbracciano e si sciolgono e sembrano amabili. Hanno bevuto. Baciano perfino l’uomo che suona la fisarmonica, ma per lei la scena sembra muta, un girotondo di fantocci con i berretti di lana. La vedono ma non la invitano ad entrare. Dal cielo si sollevano le nubi, si dividono, migrano, sembra di nuovo quasi giorno e non è che un bagliore di neve. L’uomo continua ad inchiodare assi, lo sente fin quasi al limite del viottolo, mentre di nuovo è in cammino, tra gli alberi. Si ferma, c’è ancora il vento, lievi ondate di gelo sollevano la sua veste di lana. Si siede, e pensa all’uomo che è venuto a comprarla. Al gatto che le hanno restituito dalla terra perché ha detto di si, lascerà che la portino via in cambio delle monete, sepolte al posto del gatto. Pensa agli alberi, ora che è supina sulla terra, e sorreggono la cattedrale in cui è nata, di terra e di cielo. Prende il gatto e se lo pone sul cuore.

-Salve Regina- mormora. Spera nella notte e nella neve.

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