Nel leggere e pensare alla strage ferroviaria di Corato, ad ogni parola detta, letta o anche solo immaginata è necessario, inderogabile, pensare alle vittime, alle loro famiglie, alla popolazione.
Non c’è niente da fare, certe morti ti toccano di più.
Perché in qualche modo, da qualche parte della nostra coscienza sporca c’è l’idea che la guerra, la fame, la povertà, la religione, siano fattori di sofferenza e morte che convivono con noi dall’alba dei tempi, e quindi quasi normali, se non addirittura accettabili.
Riusciamo quindi ad andare avanti nella nostra esistenza anche sapendo che centinaia di milioni di persone vivono in stato di indigenza, che milioni di bambini lavorano per il nostro benessere, che ci sono guerre combattute aspramente anche vicino casa.
Siamo riusciti a fottercene anche quando i balcani bruciavano e i cecchini serbi facevano il tiro al bersaglio a Sarajevo.
E anche qua, a casa nostra, prendiamo i 7/8.000 morti l’anno che lasciamo sulle strade come una fatalità in qualche modo inevitabile.
Poi si scontrano due treni, e improvvisamente scopriamo di avere una coscienza.
Non è una cosa negativa, sapete, avere una coscienza, anzi.
Ma quando avremo sfrondato le nostre reazioni di tutta l’emotività possibile, quando avremo smesso di esercitare una competenza rotabile che non abbiamo, quando avremo finito gli insulti verso il “governo ladro”, o addirittura le becere esultanze di qualche coglione pseudo leghista, sarà bene cominciare a ragionare.
E a dirci che nella vita di una persona, di una famiglia, di uno Stato esistono delle priorità.
La strage di Corato ci colpisce perché quelli siamo NOI.
Non erano dei coglioni che andavano a duecento in autostrada, o dei soldati che cercavano di conquistare un pezzo di territorio, o dei poveri disgraziati così sfortunati da nascere in una favela o in un tugurio in periferia di Nairobi.
No.
Quella era gente come me e come voi, studenti, mamme, nonne, bambini, poliziotti, agricoltori.
Gente che amava, odiava, correva, lavorava, sperava esattamente come me e come voi.
Gente magari neanche tanto abbiente, altrimenti non si sarebbero messi su un treno locale per fare diciassette chilometri, ma avrebbero sfoderato una bella macchina o una moto potente.
Nonne coi nipoti, madri morte abbracciati ai figli.
Lo strazio della NOSTRA famiglia.
Proprio per loro e per tutti noi è necessario capire, e cercare di cambiare.
E non venitemi a parlare di binario unico, di sistemi di segnalazione antiquati, o stronzate del genere: in Italia sono circa 15.000 i chilometri a binario unico.
La sola RFI ne conta 9.000, il quindici per cento del totale.
L’errore umano?
Ma di cosa stiamo parlando?
Vogliamo dire la verità? In una tratta – solo una delle centinaia di tratte simili – in cui i treni vanno a cento all’ora e non si scontrano solo perché due cristiani si mandano un segnale di fumo da una parte all’altra del binario, il fatto che un disastro del genere non succeda tutti i giorni è un inno all’efficienza e alla professionalità di queste persone.
La verità per me è un’altra.
La verità è che si è ritenuto di poter gestire i soldi pubblici in maniera SOLO clientelare, senza pensare ANCHE al benessere collettivo.
Quando si parlava di ponte sullo Stretto, non abbiamo fatto la rivoluzione con i forconi, come sarebbe stato giusto.
Anzi, abbiamo permesso ad un governo di malandrini di buttare duecento milioni per una gara, senza considerare stipendi e anche penali.
Quando si è costruita la Roma-L’Aquila abbiamo permesso che si facessero DUE autostrade inutili, invece di una, perché erano due i signorotti democristiani da accontentare.
O quando si costruisce a Roma la nuvola di Fuksas, monumento all’inutilità e allo spreco.
O quando si fa la terza corsia del raccordo anulare, che andava completata per i mondiali del 1990 ma ci ha messo una ventina di anni in più.
O quando si fa un air terminal che non viene usato, o aeroporti nel nulla.
O quando si mette in mano a camorra e ndrangheta ogni singolo chilometro della Salerno-Reggio Calabria.
E potrei andare avanti per ore e ore e ore.
I soldi non si mettono mai per migliorare la vita delle persone, mai, ma solo per il vantaggio di pochi.
Quindi lo volete sapere di chi è la colpa?
E’ vostra.
Sì.
Vostra, e mia, e tua e di tutti quanti noi, che non abbiamo controllato abbastanza, denunciato abbastanza, votato abbastanza.
E che oggi magari in un improvviso rigetto per la politica “politicante” andiamo a votare per dei peracottari che neanche hanno iniziato e già fanno a botte per mettere la moglie o la fidanzata in posizioni lucrose, e chissà cosa succederà dopo.
Quando guardiamo le scene della strage di Corato, cari amici, stiamo bene attenti a quello che diciamo, perché la colpa, alla fine, è solo nostra.