di Salvatore Nocera Bracco
6 gennaio 1980: Pier Santi Mattarella, giovane presidente della Regione Sicilia, viene assassinato a 44 anni. 31 gennaio 2015: Sergio Mattarella, fratello di Pier Santi, viene eletto Presidente della Repubblica Italiana.
Qualche giorno fa Lillo Cremona, sindaco di Naro, ha subito un atto intimidatorio da parte di ignoti: hanno tentato di bruciargli la porta di casa. In occasione della manifestazione di solidarietà in suo favore, a un noto maggiorente politico, dal palchetto in piazza innalzato per l’occasione, è sfuggito: “Non è questione di mafia. Qui la mafia non esiste”.
Sandro Pertini, il nostro Presidente della Repubblica più amato di sempre, presente al funerale di Pier Santi Mattarella, dice: “La Sicilia non è solo mafia”. A noi piace aggiungere: “È soprattutto cultura”, cioè la possibilità concreta di crescere insieme all’interno di un sistema di valori e sentimenti condivisi, che riconosce l’altro come risorsa, non come profitto o come elemento da parassitare per i propri sporchi privilegi! Quindi va da sé che mafia e cultura non sono accostabili.
Il sindaco di Palma di Montechiaro, Pasquale Amato, anche lui abbastanza vessato da minacce mafiose, giustamente indignato, con passione ribatte: “La mafia esiste eccome, invece! La cultura mafiosa …” E una voce improvvisa dalla platea lo interrompe:
“La mafia non è cultura”. Pasquale Amato sembra sospendere il suo discorso, come a voler dire: “Sì, è vero: la mafia non è cultura”. Ma non lo dice. Però continua più appassionato di prima, come ad approvare e a scardinare finalmente anche dentro la sua testa una smaccata programmazione linguistica che mantiene comunque intatta l’idea di “cultura” mafiosa che cultura non è. E allora cos’è?
Qualche gremlin, di sicuro, lo sta spiando, inosservato. I gremlins sono dei mostriciattoli malvagi che ne fanno di tutti i colori a chi ha la sventura di venirne a contatto: smontano gli armadi, mettono a soqquadro i garage, i magazzini, le cucine, i prati, il giardino, le auto, le case stesse; sovvertono gli ordini precostituiti senza alcun obiettivo né finalità, sabotano con estrema crudeltà, solo per il gusto di farlo, ogni proposito di costruire e progettare da parte degli uomini di buona volontà.
La mafia non esiste. E la cultura?
Nel frattempo un branco di gremlins armeggia nell’ombra, indisturbata, a tentare di scompaginare un’idea di amministrazione e una mentalità condivisa soprattutto laddove l’arroganza degli ignoranti e dei cafoni vorrebbe prendere il sopravvento sulle regole. Essere ignoranti non vuol dire tuttavia essere per forza arroganti, men che meno mafiosi; né al contrario che persone all’apparenza rispettabilissime ed espressione di “cultura” non possano comportarsi come gremlins. Diciamo che più spesso di quanto non si sospetti, la “cultura” è il paravento migliore di qualcuno per nascondere meglio di quanto non faccia l’omertà – questo sì – le mire di qualche frustrato ca voli cumannari, pirchì cumannari è megliu di fùttiri!, ad ogni costo, e rivalersi su chi non lo ha riconosciuto.
Il problema vero nasce dal fatto che gran parte di questa cosiddetta società civile è immersa in atteggiamenti e mentalità che hanno molto a che fare con qualcosa che si chiama mafiosità, e il peggio è che viene accettata come comportamento normale.
“L’origine del comportamento mafioso (la sua base culturale? …) sta soprattutto in un atteggiamento di ricerca di vantaggi esclusivi (questa ricerca qualcuno la chiama “politica”!) a partire dalle cose piccole, e che crea moltissime vittime: adesso di molti uccisi dalla mafia si sa parecchio. Ma quanti ce ne sono, rimasti anonimi, quell’esercito muto, anch’esso martire, al pari di Livatino, Falcone, Borsellino, Padre Puglisi … che ha subito la morte e nessuno lo sa?: a causa di tutte quelle condizioni legate più o meno indirettamente alla mafia: una overdose, per esempio, l’emarginazione sociale, l’omertà, la mancanza di un lavoro, il sottosviluppo economico, la galera, la tragedia di tante famiglie finite in malora, i fallimenti, l’assenza delle istituzioni, la ribellione al sopruso mafioso, al pizzo, le belle parole dei politici eccetera eccetera eccetera! – per non parlare delle vittime di quell’atteggiamento mafioso, ancor più subdolo e viscido perché inavvertito, che è così normale nei nostri uffici, nel nostro lavoro, nelle nostre istituzioni, nelle nostre relazioni?” (da La mia scelta, spettacolo su Rosario Livatino, di SNB)
Be’, a guardarsi intorno nella piazza di Naro … saranno presenti un centinaio di persone, alcuni sindaci del circondario, onorevoli regionali e nazionali, rappresentanze della società cosiddetta civile … qualcuno parla, esterna le sue idee e i suoi pensieri, che vagano liberi per la piazza, a dire il vero desolatamente vuota. Ma allora chi ascolta? I soliti politici, le solite presenze istituzionali che se la cantano e se la suonano: autosufficienti. I naresi non ci sono. Be’, nemmeno la mafia, però! Almeno credo. Spero.