21 SETTEMBRE – 11 OTTOBRE
Mario Amari (Calamonaci, 1951), mostra da subito un sicuro mestiere e una cultura visiva profondamente interiorizzata e meditata. I suoi materiali sono diversi ed eterogenei, ed attinti da spazi e tempi diversi. Nelle immagini che ci offre si gusta tutto il suo talento di inventore, cioè di chi trova sul suo cammino oggetti diversi, e li risignifica con l’intelletto e le mani. Non possiamo trascurare o nascondere il suo essere homo faber : il suo approccio apparentemente non intellettuale si manifesta attraverso una serie di mascheramenti, che a prima vista ci ingannano sullo spessore della sua pittura. Amari è restauratore di dipinti, e la sua confidenza con l’impervio terreno in cui si svolge il rapporto fra supporto e colore, tra figura e sfondo è onestamente svelata quando, terminato il colore, la pellicola pittorica si prosciuga e mostra l’umilissimo supporto di legno. Oppure quando, lavorando con ciò che trova, fa i conti con l’irregolare sostanza della realtà. Non c’è compiacimento nei bordi irregolari, non c’è trascuratezza o negligenza, ma accettazione e rappresentazione del limite delle cose. Nelle commessure fra i legni – coperte e ostentate da un magnifico colore pieno – si intuisce una lontana parentela col pensiero e l’opera di Fontana: quello squarciava le tele nelle sue attese – ci lasciava intuire spazi interminati e tempi di là da venire; Amari racconta l’approdo di una storia: assembla pezzi e ne esalta l’incontro col colore. Le fenditure si coprono di luci diverse, e anziché dividere unificano e integrano le parti verso una unità superiore. Ma non è tutto qua. L’effetto di spaesamento, e la lieve vertigine che ci coglie si alimenta del ritmo, altro materiale pregiato nelle mani dell’artista. Leggiamo sulla superficie strati diversi, oggetti enigmatici posti in ordine geometrico, cambiamenti repentini nel tono, spostamenti che il nostro occhio fatica a decifrare, se in soccorso non ci viene il senso di una armonia superiore, accordo di ritmi solo apparentemente contrastanti. Questo colore che tutto copre e tutto accorda in un insieme sinfonico restituisce alla vita oggetti dimenticati, spie di un mondo sommerso nella nostra storia, umili attrezzi di contadini: ci procura una sottile e giusta inquietudine. Anche qua, altri maestri lasciano un’eco persistente nelle tavole che vediamo: i monocromi di Manzoni, la monumentalità di Burri si ritrovano in queste piccole, umili tavole, opere in cui si comprende come il seme di altri maestri, per rivelare la sua fecondità, deve essere tradito. Francesco Catalano
Con l’intervento di: Francesco Catalano
SABATO 22 SETTEMBRE ore 18:30
Spazio culturale “Il Funduk”, via Santa Maria Dei Greci, 38