di Simona Mazza
Ungaretti, intervistato da Pasolini disse: “la civiltà è un atto di prepotenza verso la Natura”.
Per la Natura, l’uomo è funzionale al ricambio della specie, la sua esistenza non ha più valore di quella di qualsiasi altra sua creatura e include ogni variabile.
Di contro, la nostra civiltà antropocentrica, ci pone quale centro e fine e dell’Universo (la prepotenza di cui parlava Ungaretti) e, se tutto va bene, ci fa accettare la “diversità” per mero “buonismo”.
Questa presunzione di superiorità è stata messa in atto attraverso dei dogmi, delle regole morali e sociali, che sostanzialmente servono a renderci governabili, prevedibili e misurabili.
Il sesso quale condizionamento sociale
Anche il sesso non sfugge a certe logiche: l’assegnazione dei ruoli di genere è funzionale al sistema culturale che la contiene e figlia del condizionamento sociale.
Non è un caso che si faccia strada, fin dagli ultimi anni del XVI sec., quel pensiero cartesiano dicotomizzante che sancisce il definitivo dualismo: umani e non umani, civiltà e natura, anima e corpo, ragione e sentimento, uomo e donna, ecc…, corrispondenti, rispettivamente, a valori positivi e negativi, superiori e inferiori.
Questo pensiero dominante, tende a separare il femminile dal maschile, rimarcando un dualismo inconciliabile.
Da ciò nascono le discriminazioni verso tutto ciò che è “diverso” (in questa sede parliamo del sessualmente diverso), da ciò che riteniamo accettabile o meno in base al nostro condizionamento socio-culturale.
Platone e il mito dell’androgino
Eppure, nella notte dei tempi l’uomo era altra cosa rispetto a ciò che è adesso, almeno secondo il filosofo ateniese Platone.
Nel suo “Simposio”, il commediografo Aristofane racconta una storia sulla fluidità di genere. Egli narra che un tempo la stirpe umana era composta da tre generi: maschile e femminile e androgino.
La forma di ciascun essere umano era sferica e il movimento circolare.
Ciò derivava dal fatto che erano stati generati dagli astri: il maschio aveva origine dal Sole, la femmina dalla Terra e l’androgino dalla Luna (dal momento che il nostro satellite ha i caratteri sia del Sole sia della Terra).
Questi esseri erano dotati di grande forza e vigore, ma erano terribilmente orgogliosi, cosa che preoccupava gli Dei dell’Olimpo.
A raccontare questa leggenda è anche Omero (Iliade libro V; ‘Odissea libro XI).
Il poeta greco, riferisce che Efialte e Oto (giganti figli di Poseidone e di Ifimedia), tentarono di dare la scalata al cielo per imporsi agli dei.
Zeus, mosso a pietà, anziché sterminarli preferì dividerli in due (della serie divide et impera), perché fossero più deboli ed al tempo stesso più tranquilli.
“Penso di avere un mezzo per il quale gli uomini possano sussistere e cessare la loro insolenza, divenendo più deboli. Dunque ora taglierò ciascuno di essi in due parti eguali e così diverranno più deboli e insieme più utili per noi per essere più numerosi. E cammineranno in posizione eretta, su due gambe. Se parrà poi che persistano nella loro insolenza e non vorranno starsene in pace, li taglierò di nuovo in due, tanto che cammineranno su una gamba sola come quelli che si tengon dritti su un piede solo”.
Perché cerchiamo l’altra metà?
Proprio perché la natura umana fu divisa in due parti, ogni metà tentava di entrare in congiunzione con la parte complementare e, una volta trovata, si lanciava in interminabili effusioni.
Se una delle due parti moriva, quella sopravvissuta ne cercava un’altra e vi si abbracciava, sia che capitasse nella metà di una donna intera, che ora chiamiamo donna, sia in quella di un uomo.
La divisione di genere e relativi compiti
Per garantire la sopravvivenza della specie, Zeus traspose i genitali degli esseri umani all’esterno.
Prima di allora infatti erano all’interno e quando generavano e partorivano, non lo facevano accoppiandosi tra loro, ma congiungendosi con la terra come le cicale.
Il capo degli Dei, decise inoltre che la creazione sarebbe avvenuta tramite l’incontro del maschio e della femmina: se un uomo avesse incontrato una donna, ci sarebbe stata la riproduzione; se un individuo ne avesse incontrato uno dello stesso sesso, dopo l’appagamento dei sensi e dell’anima, ognuno sarebbe tornato alle occupazioni quotidiane.
Una spiegazione sull’omosessualità e sulla eterosessualità
Platone insomma ribalta totalmente le nostre condizioni sull’attrazione sessuale. Il Simposio ci fa intendere che tutti gli uomini e le donne che derivano dall’androgino (uomo e donna contemporaneamente), si innamorano dell’individuo di sesso opposto.
Tutti le donne che derivano dall’essere sferico interamente di sesso femminile, non sono attratte dagli uomini: per naturale inclinazione, amano le altre donne ed è da questa specie che derivano le lesbiche.
Viceversa, i maschi che provengono dall’essere sferico interamente di sesso maschile, cercano i maschi: ed è da questa specie che derivano gli omosessuali.
Queste ultime due categorie di persone trovano piena soddisfazione quando incontrano l’altra metà di sé stesse da cui sono state separate.
In una parola, l’essere umano è attratto sempre dalla specie di cui è parte.
L’amore fa la differenza
Il filosofo greco ci insegna che conta di più la qualità dei sentimenti, che è l’incontro di due anime, rispetto alla pura differenza di genere.
L’oggetto dell’amore non è poi così importante.
Quel che conta è la pulsione spirituale che esprimiamo quando amiamo.
In natura, essere uomini, donne, omosessuali è solo pura “possibilità”.
Occorre più che altro ricongiungersi a quell’essere mitologico che dà spazio all’lo di riconoscersi grazie alla relazione con un Tu.
E il ruolo dell’eros?
Come dicevamo, l’appagamento delle effusioni fu un dono concesso da Zeus nei confronti dell’umanità.
I genitali ebbero, quindi, lo scopo di appagare il loro desiderio e di donare una condizione -per quanto effimera- di completezza.
Conclusioni
Ogni essere umano dovrebbe essere cercare, consapevolmente, di ritrovare la propria integrità.
Chi denigra la fluidità di genere e giudica gli orientamenti sessuali imponendo gerarchie ed etichette, dovrebbe leggere Platone e pensare a quell’essere umano con due teste, quattro braccia, due sessi e quattro gambe.
Noi non ci innamoriamo dell’altro ma della nostra idea dell’altro, perché l’altro è inconoscibile.
La questione dunque non è “omosessualità” o “eterosessualità”, ma ricongiungerci a noi stessi, sviluppare quelle caratteristiche e quelle capacità che vorremmo trovare nell’altro e che ci fanno innamorare di lui/lei.
Impariamo ad amare e includere il diverso: tutto il resto è secondario.