Agrigento e archeologia, un binomio indissolubile. Ma cosa accadrà tra due o tremila anni, quando di ciò che siamo non ci sarà più traccia? Non preoccupatevi, grazie al grado di civiltà del nostro popolo e di quanti nel corso degli anni hanno amministrato e amministreranno in futuro, nuove squadre di archeologi potranno ricostruire la nostra storia, i nostri usi e costumi, le nostre abitudini alimentari, persino la tipologia dei mezzi di locomozione con i quali ci muoviamo abitualmente.
È in quest’ottica – e con il fine scientifico sopra accennato – che vanno visti i depositi di spazzatura che allietano la nostra vista e il nostro olfatto lungo le vie cittadine, senza considerare gli studi che già fin d’ora si potrebbero fare sui processi di decomposizione e sui batteri. Non ultimo, lo studio preliminare di mercato, base di partenza del marketing, analizzando grazie ai rifiuti gli attuali consumi sui quali poter fare la previsione di vendite di nuovi prodotti. Lattine, contenitori di plastica, pannolini sporchi, sono preziosi indicatori dei consumi, una “risorsa” che va meglio valorizzata.
Le montagne di immondizia che costellano il centro storico agrigentino, nonostante l’odore sgradevole, rappresentano quello che in passato erano i testi scritti dalle antiche civiltà che si sono avvicendate sul nostro territorio, tramandandoci le notizie sugli usi e costumi di questi popoli.
Uno dei tanti esempi attuali, che andrebbe valorizzato o, ancor meglio, musealizzato, lo possiamo trovare nelle viuzze a ridosso della via Garibaldi (la ricerca non è difficile se seguiamo la traccia odorosa) dove troneggiano sacchetti di vario colore. Spazzatura a macchia di leopardo, ovunque.
È proprio in una di queste vie (Via Alletto) che allo splendore dei futuri “reperti archeologici”, quali contenitori di detersivi, pannolini, cartacce, residui di verdure e carne, compreso una meravigliosa testa di pecora – la cui utilità per l’allevamento dei bigattini è indubbia – che troviamo anche un pregevole esempio di archeologia moderna.
Accanto a sacchetti e rifiuti vari, fa bella mostra di sé un’automobile, una 500 abbandonata lì da tempo, certamente non più assicurata, intorno alla quale si può ammirare una rigogliosa crescita di parietaria.
Dirimpetto, un’Ape – anch’essa abbandonata da tempo – che narrerà ai posteri la storia dei mezzi di lavoro delle odierne maestranze.
Ironia e battute a parte, la città sommersa dai rifiuti è una vergogna, uno spettacolo indecente che una città che si definisce a vocazione turistica non può certamente permettersi, con buona pace degli archeologi del futuro.
Gjm