La Calabria è stata il luogo in cui l’“uso alternativo della giustizia” caro a quelli di Magistratura Democratica, ha fatto le prime (ed anche un po’ grossolane) sperimentazioni.
E, poiché nel frattempo gli stessi sperimentatori avevano scoperto la “giustizia di lotta antimafia” non è difficile comprendere come ne sia venuto fuori, tra l’altro, uno spiccato “uso alternativo della lotta alla mafia”.
Basta, per rendersene conto, di andare col pensiero ad uno dei più repellenti processi persecutorii, quello a carico di Giacomo Mancini.
Lasciamo da parte la storia, che pure è indispensabile per capire il presente. Un presente in cui campeggia la figura del Procuratore Gratteri, balzato ad uno dei primi posti della magistratura aspirante a ruoli politici, con la scelta che ne fece Renzi per il posto di Ministro della Giustizia nel suo Ministero, scelta scartata dopo un braccio di ferro in extremis con Napolitano (la cui fermissima opposizione è tutta da chiarire). Da allora Gratteri si è lanciato in una sorta di campagna per l’affermazione del primato della “‘ndrangheta” su tutte le altre organizzazioni criminali.
Primato che comporta tra i magistrati antimafia, quello di lui, Gratteri, che ha i titoli per rivendicare il primato tra i magistrati “antindrangheta”.
Situazione in sé complicata ed allarmante. Se poi a ciò si aggiunge l’imperversare a vari livelli ed in vari ambienti delle antiche teorie dell’”uso alternativo della giustizia” e delle sue “lotte”, e delle “deviazioni” personalistiche, il quadro è addirittura catastrofico.
Ma veniamo alla cronaca degli ultimi giorni.
Nella corsa ai primati ed alle conseguenti esposizioni mediatiche che caratterizza, oramai, la giustizia italiana, la storia dei quindici magistrati di Catanzaro e Cosenza contemporaneamente indagati (pare in due processi diversi) è, credo, un primato difficile a conseguirsi.
E, poi, c’è il Presidente della Regione raggiunto da una misura cautelare inconsueta nei suoi congegni, che sembra combinata apposta per completare lo sputtanamento della classe politica oltre che di lui, l’accusato.
E la Regione, campeggia in questo terremoto paragiudiziario. Sono oramai prossime le elezioni regionali. Che c’entra? Mi direte. Altro che c’entra. E’ oramai da lungo tempo che circola sempre più insistente, la voce di Gratteri candidato alla Presidenza. Un passo indietro di quello che era stato portato già sulla soglia del Ministero della Giustizia? Niente affatto. E non c’è bisogno di andar col pensiero ad un Ministro Bonafede per rendersene conto.
Una presidenza regionale vale assai di più di un ministero (del resto dalle competenze “residuali” come quello della giustizia). Inoltre per le elezioni regionali non c’è incompatibilità con l’esercizio, in loco, delle funzioni giudiziarie.
Ma che il “Partito dei Magistrati”, o anche a non voler prendere atto di questa ingombrante presenza nella politica italiana, una Magistratura, in seno alla quale sia maturato un progetto elettorale di tale fatta, si imbarchi, alla vigilia delle formazioni delle liste, in quella che si direbbe una lotta intestina può apparire al contempo strano ed allarmante.
Altri sintomi di una particolare asprezza e strumentalità potrebbero poi emergere da una conoscenza di particolare tutt’altro che segreti.
Intanto qualche perplessità (a non voler usare espressione più adeguata) nasce dal fatto che tra le prove, poco importa, se a carico o, stavolta, a discarico raccolte in una di queste inchieste sia stato inteso dai Carabinieri del R.O.S., su delega della Procura di Salerno competente per processi in cui sono coinvolti magistrati calabresi, un personaggio ben noto a chi segua certe vicende giudiziarie e paragiudiziarie cosentine, tale Carchidi, un primatista, per non dir altro, di querele e denunzie per le non casuali violente aggressioni con il giornale on line da lui diretto “Iacchitè”.
Il quadro, anche senza andare a fondo e raccogliere voci più o meno attendibili, è inconsueto e allarmante.
Qualcuno dirà che le sue caratteristiche del caso smentiscono l’esistenza di un Partito dei Magistrati. Ingenuità.
E’ esattamente il contrario. Il perché “mutatis mutandis” ce lo spiega, nientemeno, il nostro G.G. Belli (4 aprile 1846, sonetto “Er credito contro monsignore)”:
“………………………
Li giudici lo so che so prelati,
e cane, me dirai, nun morde cane
ma quarchi vorta so’ cani arrabbiati.
Allora senza d’abbadà ar decoro
………………………….
se mozzicheno puro fra de loro”
Mauro Mellini